Lo ha detto Netanyahu in un intervento televisivo. "Il cessate il fuoco approvato è temporaneo. Ci riserviamo il diritto di tornare in guerra". Come annunciato dal portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, il cessate il fuoco inizierà domani alle 8:30 ora locale (le 7:30 in Italia). Domenica quindi liberi i primi tre ostaggi su 33. In cambio saranno liberati 1.700 detenuti palestinesi. Ma Israele “non proseguirà con il piano finché non riceverà l’elenco degli ostaggi che saranno liberati, come concordato”
Approvato da Israele dopo un consiglio dei ministri fiume l’accordo siglato a Doha sul cessate il fuoco a Gaza che inizierà domenica alle 8:30 ora locale (le 7:30 in Italia), come ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar. Ma Israele “non proseguirà con il piano finché non riceverà l’elenco degli ostaggi da liberare, come concordato”. Lo rende noto con un comunicato l’ufficio del premier Benyamin Netanyahu dopo che, nonostante diversi rumors, Hamas non ha ancora consegnato i nomi delle tre donne che saranno rilasciate domani. “Israele non tollererà violazioni dell’accordo. La responsabilità esclusiva è di Hamas”. 
Monito di Netanyahu: “Se la fase due fallisce, la guerra riprenderà con il sostegno degli Usa. Ho avuto garanzie inequivocabili da Biden e Trump”. Domani i primi tre ostaggi liberi. Sono in tutto 33 i rapiti del 7 ottobre che saranno rilasciati. Tra loro i piccoli Bibas, ma non si sa se vivi. Nella lista anche le ragazze prese al rave e le 5 soldatesse. Fonti dell’establishment sicurezza israeliana stimano che “25 dei 33  ostaggi destinati ad essere rilasciati nella prima fase dell’accordo  siano ancora vivi”. Lo riferisce la Radio dell’esercito.
Un uomo ha cercato di accoltellare dei passanti in via Levontin a Tel Aviv, ferendone uno che è stato portato in ospedale. Lo ha riferito il portavoce della polizia, secondo cui l’aggressore è stato “neutralizzato”. L’accoltellamento è stato definito “attacco terroristico” dalla polizia, le condizioni della persona ferita sono gravi. Il terrorista è Salah Yahya, 19 anni di Tulkarem, in Cisgiordania. È entrato illegalmente in Israele.
Intanto, la notte scorsa cinque membri di una famiglia, inclusi tre bambini, sono stati uccisi in un bombardamento dell’esercito israeliano che ha preso di mira una tenda che ospitava gli sfollati nel sud della Striscia di Gaza. I ribelli Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran, hanno rivendicato la responsabilità di un attacco missilistico contro Israele, dove l’esercito aveva precedentemente affermato di aver intercettato un missile proveniente da quel Paese.
l presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas dopo l’annuncio dell’accordo sul cessate il fuoco, ha detto che il partito che governa solo piccole aree della Cisgiordania occupata, è pronto ad assumersi “la piena responsabilità” della Striscia di Gaza alla fine della guerra. L’ANP ha inoltre raggiunto un accordo con i miliziani armati del Battaglione Jenin, mettendo fine all’operazione militare in corso da oltre un mese nell’omonima città nel nord della Cisgiordania.

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“Abbiamo stabilito che i terroristi che hanno ucciso non saranno rilasciati in Giudea e Samaria (Cisgiordania), saranno espulsi nella Striscia di Gaza o all’estero, e abbiamo deciso durante la riunione di gabinetto anche un significativo rinforzo delle nostre forze lì per proteggere i nostri cittadini”, ha affermato Benyamin Netanyahu in conferenza stampa. “Ora, cosa ha causato il cambiamento nella posizione di Hamas? Prima di tutto, i colpi dolorosi inferti dai nostri combattenti eroici. In secondo luogo, la nostra politica di colpire i nostri nemici su sette fronti con una forza che non avevano mai visto prima. Abbiamo eliminato Sinwar, Deif e Haniyeh. Abbiamo eliminato Nasrallah e tutta la dirigenza di Hezbollah. Abbiamo distrutto la maggior parte delle armi dell’esercito siriano, colpito i Houthi in Yemen, e agito contro l’Iran. Abbiamo infatti colpito duramente tutti questi gruppi, cioè abbiamo inflitto gravi danni all’intero asse iraniano, e ancora non è finita”, ha detto il premier israeliano. “Come vi avevo promesso, abbiamo cambiato il volto del Medio Oriente. E come risultato di tutto questo, Hamas è rimasto sconfitto e isolato nella guerra. Proprio così sono state create le condizioni per un cambiamento nella sua posizione e per il rilascio degli ostaggi. Oggi Hamas accetta ciò che prima non avrebbe mai accettato”, ha aggiunto.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahuha rassicurato questa sera il suo paese che gli ostaggi nelle mani di Hamas torneranno a casa. Trentatrè “fratelli e sorelle torneranno a casa” grazie alla “ferma posizione di Israele”, ha detto nel suo primo discorso alla nazione dopo l’accordo di cessate il fuoco con Hamas. Ma Netanyahu ha anche chiarito che intende tenersi le mani libere. Israele “si riserva il diritto” di riprendere i combattimenti, se sarà necessario, ha ammonito.
Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha dichiarato questa sera che Israele aumenterà le forze lungo l’asse Filadelfia e che se l’accordo continua alla fase due, l’Idf dovrebbe ritirarsi completamente. E ha promesso: “Riporteremo a casa tutti (gli ostaggi) e raggiungeremo tutti gli obiettivi elencati”. Quindi ha ringraziato Biden e Trump. “Mia moglie Sara investe tutto il suo cuore e la sua anima nella preoccupazione per le famiglie e per il ritorno degli ostaggi, e si impegna per loro sia in Israele che all’estero. So che questa preoccupazione è condivisa da tutte le famiglie in Israele. Fino ad oggi, abbiamo riportato a casa 157 dei nostri ostaggi, di cui 117 sono vivi. Con l’accordo appena approvato, riavremo a casa altri 33 dei nostri fratelli e sorelle, la maggior parte dei quali vivi”.
“Il cessate il fuoco approvato è temporaneo. Ci riserviamo il diritto di tornare in guerra”, ha affermato il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, sottolineando che il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente entrante Donald Trump hanno garantito che la guerra riprenderebbe se i negoziati sulla seconda fase dell’accordo fallissero.
“Dobbiamo raggiungere tutti gli obiettivi della guerra, in cui Gaza non rappresenterà più una minaccia per Israele. La sacra missione di liberare gli ostaggi mi ha accompagnato per tutta la vita”. Lo ha detto Benyamin Netanyahu in un intervento televisivo.
Il Forum Choosing Life, composto da famiglie in lutto i cui parenti sono stati uccisi durante attentati, ha presentato una petizione all’Alta Corte contro il rilascio dei terroristi palestinesi nell’ambito dell’accordo sugli ostaggi firmato tra Israele e Hamas. Secondo il Forum “la giustizia è stata calpestata. Chiediamo un rispetto minimo per le famiglie in lutto”. La petizione chiede al governo di impedire il rilascio dei terroristi e, se la loro richiesta non viene accettata, “di garantire un preavviso alle famiglie in lutto e di garantire la massima trasparenza” Questa è la prima istanza presentata all’Alta Corte contro l’accordo.
“L’Egitto invita anche la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, a sostenere e consolidare l’accordo e la stabilizzazione permanente del cessate il fuoco” e la “esorta a fornire tutti gli aiuti umanitari al popolo palestinese e a elaborare un piano urgente per ricostruire Gaza”: è quanto si afferma nel comunicato diffuso al Cairo in cui l’Egitto annuncia che Israele rilascerà più di 1.890 prigionieri palestinesi in cambio di 33 ostaggi israeliani nella prima fase della tregua. “L’Egitto sottolinea l’importanza di accelerare l’elaborazione di una tabella di marcia per ristabilire la fiducia tra le due parti in vista del loro ritorno al tavolo dei negoziati e di adottare le misure necessarie per risolvere la questione palestinese nel quadro della soluzione a due Stati, in conformità con le risoluzioni della legittimità internazionale e con la creazione di uno Stato palestinese indipendente sui confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale”, si afferma fra l’altro nel comunicato.
Il portavoce del ministero degli Esteri di Doha, Majed Al-Ansari, ha dichiarato al canale Al-Arabi che “siamo sicuri che le parti siano impegnate a rispettare l’accordo di cessate il fuoco”. E ha osservato: “sappiamo dai tentativi precedenti che il processo di scambio di prigionieri non è semplice. Invito a non fare riferimento a dichiarazioni politiche in questo momento”. Secondo lui “finora non vi è stata alcuna violazione dell’accordo”.
“Finisce la guerra, non il conflitto, ma come abbiamo detto anche come ordinari cattolici di Terra Santa, la tregua è un passo necessario. Nella popolazione avvertiamo un senso di liberazione, la fine di questo terribile periodo. Siamo contenti, anche se siamo davanti a una tregua molto fragile che ha davanti ancora molti ostacoli, ma bisogna incoraggiare questi passi”. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, guarda con speranza e realismo ai giorni che verranno. Ne parla in un’intervista ad Avvenire – anticipata da Ansa – in uscita domani, giorno di entrata in vigore del cessate il fuoco tra Israele e Hamas. “Ci saranno molte difficoltà durante la tregua, il rischio di incidenti, e nelle ultime ore prima dell’entrata in vigore dell’accordo si spara ancora. Ma bisogna andare avanti, incoraggiare e sostenere questi passi”, afferma rispondendo alle domande dell’inviato Nello Scavo. I sentimenti che ha raccolto dalla parrocchia di Gaza, “le loro speranze e le loro più grandi preoccupazioni sono per quello che ancora potrebbe succedere. Ma sono molto contenti per l’imminente fine degli scontri armati e per la svolta che una tregua può portare”. Ora “le principali emergenze sono tre. Il cibo, ma questo dovrebbe essere risolto in fretta permettendo la consegna degli aiuti alimentari necessari. La scuola, molti dimenticano che da due anni a Gaza centinaia di migliaia di bambini non hanno ricevuto alcuna istruzione. E naturalmente la sanità, che è in ginocchio, con gli ospedali quasi tutti distrutti, e perciò necessita di interventi massicci e rapidi”. Pizzaballa aggiunge: “Certamente tornerò a Gaza, dovrà esserci anche un contesto sia interno che esterno che lo renda possibile, ma certamente tornerò. Il Patriarcato è già impegnato da tempo, adesso stiamo valutando in che modo continuare la nostra azione di sostegno, non da soli. Insieme ad altri dovremmo creare un network insieme ad esempio agli anglicani, ai cavalieri di Malta, per riuscire ad arrivare a quanta più popolazione possibile”. Secondo il patriarca, “ci sono stati molti cambiamenti nel Medio Oriente, ma la questione israelo-palestinese, il cuore di tutte le questioni mediorientali, ha bisogno di un cambiamento di prospettiva. Ci sarà ancora molto da fare. Abbiamo bisogno di nuove leadership, abbiamo bisogno di visione, abbiamo bisogno di narrative diverse rispetto a quelle improntate alla vittoria, alla distruzione, all’odio”. Per fare questo, prosegue, “innanzitutto abbiamo necessità di fermare la guerra. La tregua è un punto di svolta importante che però ha bisogno di un impegno serio da parte di tutti, dei politici, dei religiosi, perché non sia solo un episodio temporaneo, ma l’inizio di un nuovo tipo di percorso”. Per quanto riguarda infine le tensioni tra ebraismo e Chiesa cattolica e le recenti critiche a papa Francesco, “i fraintendimenti ci sono stati e non si possono negare. Recentemente sono stati espressi in maniera molto chiara. Io li leggo tutto sommato come momento importante delle relazioni tra la Chiesa cattolica, il mondo ebraico religioso e il popolo d’Israele. Un’occasione per rinforzare il dialogo, che semmai deve diventare ancora più vero e più autentico”. “L’importanza delle relazioni tra noi deve prevalere sulle attuali incomprensioni – conclude Pizzaballa -. Dobbiamo lavorare per superarle e per rendere le nostre relazioni ancora più forti e salde”.
Una tregua vera e duratura a Gaza, la liberazione di tutti i prigionieri detenuti da Israele e la restituzione dei territori occupati in Cisgiordania: sono queste alcune delle richieste avanzate dai partecipanti al “Corteo per la pace” che si è svolto questo pomeriggio in centro a Milano. E’ la 67/ma manifestazione di sabato per la fine del conflitto con Israele alla quale hanno preso parte circa 1.500 persone (dati degli organizzatori) fra associazioni palestinesi, centri sociali fra cui in particolare il Vittoria, studenti e simpatizzanti. Il corteo è partito verso le 16 da Porta Vittoria ed è arrivato dopo un paio d’ore in piazza San Babila. Tutto si è svolto – secondo quanto confermato dalle forze dell’ordine – senza problemi. I partecipanti chiedono che “i responsabili del genocidio a Gaza ne rispondano davanti alla giustizia internazionale” e che “sono da liberare almeno 10.400 i palestinesi presi in ostaggio e detenuti nelle carceri israeliane tra cui 320 bambini”.
Migliaia di manifestanti pro-palestinesi si sono riuniti nel centro di Londra oggi, alla vigilia dell’entrata in vigore della tregua tra Israele e Hamas, sperando in qualcosa di più di un “cessate il fuoco temporaneo”. La marcia prevista si è trasformata in un raduno su Whitehall, il viale principale del quartiere governativo, dopo che la polizia ha respinto il percorso proposto dalla Palestine Solidarity Campaign, che passava troppo vicino a una sinagoga. La polizia, presente in massa, ha annunciato su X che nel tardo pomeriggio aveva arrestato “tra i 20 e i 30 manifestanti” che avevano lasciato il perimetro autorizzato, dopo aver già effettuato altri 7 arresti in precedenza. I partecipanti reggevano cartelli con le scritte ‘Basta armare Israele’ e ‘Gaza, stop al massacro’.
Il ministero della Difesa israeliano ha annunciato che, come richiesto dal governo, a partire da questa sera saranno consegnati avvisi personali alle famiglie delle vittime di attentati, per informarle che i terroristi coinvolti nell’omicidio dei loro cari dovrebbero essere rilasciati come parte del quadro di rilascio degli ostaggi approvato dal governo. Gli avvisi saranno consegnati ai genitori, ai coniugi o ai rappresentanti della famiglia attraverso l’Istituto nazionale di assicurazione, l’Idf, la polizia di Israele e altre agenzie di sicurezza. Il ministero della Difesa coordinerà questa attività e il personale di riabilitazione professionale accompagnerà le famiglie durante questo periodo. “Siamo vicini alle famiglie in lutto in questo momento complesso”, si legge nella nota. Le famiglie possono ricorrere contro la liberazione di chi ha ucciso i loro cari. 
Il ministro di ultradestra israeliana Bezalel Smotrich ha ribadito di essere “risolutamente contrario all’accordo sugli ostaggi”. Tuttavia, ha osservato di aver ottenuto dal governo “l’impegno a cambiare completamente il metodo di guerra per arrivare ad una decisione completa, attraverso la graduale presa del controllo dell’intera Striscia di Gaza”. Smotrich non ha quindi annunciato le dimissioni dal governo. “Abbiamo insistito e abbiamo potuto garantire, tramite una decisione del governo, nel gabinetto e in altri modi, che la guerra non sarebbe finita in alcun modo senza raggiungere i suoi obiettivi completi”, ha dichiarato.
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu rilascerà una dichiarazione ai media questa sera, annuncia il suo ufficio.
Il partito Otzma Yehudit ha annunciato che domani mattina presto, in seguito all’accordo che entrerà in vigore, i suoi ministri presenteranno le dimissioni dal governo e dalla coalizione. Di conseguenza, il ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, il ministro per il Negev e la Galilea Yitzhak Wasserlauf, il ministro per il Patrimonio Amihai Eliyahu, nonché i presidenti delle commissioni Limor Son Har-Melech e Tzvika Fogel lasceranno i loro incarichi.
“Non proseguiremo con il piano finché non riceveremo l’elenco degli ostaggi che saranno liberati, come concordato. Israele non tollererà violazioni dell’accordo. La responsabilità esclusiva è di Hamas”. Lo rende noto con un comunicato l’ufficio del premier Benyamin Netanyahu dopo che, nonostante diversi rumors, Hamas non ha ancora consegnato i nomi delle tre donne che saranno rilasciate domani.
Oltre 200mila rifugiati sono rientrati in Siria dopo la caduta di Bashar al-Assad all’inizio di dicembre, secondo quanto riferisce l’Onu alla vigilia della visita in Siria dell’Alto Commissario per i rifugiati, Filippo Grandi. Tra l’8 dicembre 2024 e il 16 gennaio 2025, circa 195.200 siriani hanno fatto ritorno nel loro Paese, secondo il tabellone dell’Unhcr pubblicato da Grandi su X. “Presto visiterò la Siria e i Paesi limitrofi, mentre l’Unhcr intensifica il suo sostegno ai rimpatriati e alle comunità ospitanti”, ha scritto. Centinaia di migliaia di siriani sono fuggiti dai bombardamenti israeliani in Libano e sono tornati nel loro Paese prima che una coalizione guidata dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (Hts) costringesse Assad a fuggire, 13 anni dopo che la sanguinosa repressione delle manifestazioni anti-governative ha scatenato una guerra che ha causato più di 500.000 morti. Dal 2011, milioni di siriani sono fuggiti dalla guerra civile e dalla crisi economica e umanitaria per trovare rifugio nei Paesi vicini e oltre. La vicina Turchia, che condivide con la Siria un confine di oltre 900 km, ospita ancora circa 2,9 milioni di siriani fuggiti dal 2011.
L’Egitto, che ha fatto da mediatore nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza, ha dichiarato che Israele rilascerà più di 1.890 prigionieri palestinesi in cambio di 33 ostaggi israeliani nella prima fase di una tregua a Gaza. Il ministero degli Esteri ha dichiarato che i prigionieri saranno liberati durante la prima fase di 42 giorni del cessate il fuoco, che inizierà domenica alle 7.30 ora italiana.
“Siamo tutti con il fiato sospeso e in attesa, ma è certo uno sviluppo straordinariamente positivo”: così Paolo Gentiloni, arrivando all’assemblea di Libertà eguale a Orvieto, ha commentato l’annunciata tregua su Gaza, prevista per domani mattina. “Forse si poteva raggiungere prima, ma intanto speriamo e preghiamo che le cose vadano nel verso giusto”, ha aggiunto l’ex presidente del Consiglio.
Un attentato, secondo quanto riferito dalla polizia israeliana, si è verificato in via Levontin a Tel Aviv, dove un uomo ha tentato di accoltellare dei passanti, ferendone uno che è stato portato in ospedale in condizioni gravi. Il portavoce della polizia ha confermato che l’aggressore è stato “neutralizzato” e l’attacco è stato classificato come “terroristico”. Il responsabile, Salah Yahya, un 19enne di Tulkarem in Cisgiordania, è entrato illegalmente in Israele. LEGGI L’ARTICOLO
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