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Iacorossi è stato investito da un’auto tra Roma e Pomezia alla vigilia di Pasqua mentre si allenava sulla bici. «I miei figli hanno fatto fatica a riconoscermi. Uso meno lo specchio e i social, la mia forza è mia moglie e a chi guida dico: pensate agli altri»
Fabrizio Iacorossi dopo l’incidente a Roma con la moglie Noemi
«Papà, come sei diventato strano. Posso regalarti la mia, di faccia?»
In gergo medico si chiama fracasso facciale: frattura contemporanea delle ossa del volto, dalla mandibola alla fronte. Fabrizio Iacorossi – titolare a Roma di una nota palestra frequentata da vip e personal trainer della premier Giorgia Meloni – nella quotidianità lo traduce con la reazione del suo bambino più grande, la prima volta che l’ha rivisto in ospedale dopo l’incidente. Era vivo ma reduce da un frontale che l’ha quasi ucciso e, comunque, sfigurato. La battuta di suo figlio lo fa ancora commuovere.
Era la vigilia di Pasqua, sabato 30 marzo. Iacorossi, 45 anni e fisico da sportivo convinto, quel giorno si allenava sulla bici per l’Ironman – triathlon di lunga distanza che combina nuoto, ciclismo e corsa – e a un certo punto è stato investito da una macchina che, girando, gli ha tagliato la strada: polmone perforato, ferite e traumi, nelle prime ore dopo l’incidente era in dubbio la sua sopravvivenza. I medici restavano cauti, Iacorossi era in coma. E’ stata subito chiara a tutti la pericolosità della situazione e, in quelle ore e poi nelle settimane successive, dal web e da tutta Italia si è sollevata un’onda di vicinanza che questa famiglia non si aspettava: l’hashtag «falloperiaco» era diventato quasi un trend, su X, tanti furono i messaggi di sostegno. «Lui è un incitatore, un motivatore, restituiamo così la sua spinta e speriamo che vada tutto bene», scrivevano.
Fabrizio Iacorossi con la premier Meloni prima dell’incidente (foto Instagram)
E allora eccolo, il «nuovo» Fabrizio. E’ ancora molto dura, Iacorossi è cambiato e al telefono ogni tanto si emoziona, ma come dice lui «alla fine l’unica cosa che conta è che sono vivo e che sto con la mia famiglia». Ha sua moglie Noemi e i suoi due figli di 8 e 5 anni che non lo mollano mai, e a conti fatti, come si dice, nella disgrazia si considera «fortunato».
Fabrizio, ha memoria dell’incidente? «Sì, tutto, anche perché poi è saltato fuori un video che ha chiarito come è andata: io non l’ho visto e non credo lo vedrò, mi tormenterebbe troppo, ma chi lo ha fatto mi dice che la dinamica è esattamente quella che ho raccontato io». Cioè? «Io marciavo dritto, da Torvajanica verso Ostia, mi allenavo tre volte a settimana su quella strada e la conosco perfettamente, in ogni minima insidia, e l’altro proveniva dal senso opposto: girando ha tagliato la curva senza freccia o altri segnali che avrebbero permesso a me di reagire, e mi ha preso in pieno».
Una signora si è fermata, ha chiamato l’ambulanza e Iacorossi è stato trasferito con la massima urgenza al San Camillo. «Alla mia famiglia avevano detto 7o% non ce la fa, 30% sopravvive». Ricorda qualcosa del coma? «Sì. Ricordo che aprivo gli occhi e mi vedevo i piedi, ero steso e legato: poi mi hanno raccontato il perché, mi agitavo e rischiavo di cadere. Ricordo anche che avevo il pensiero della mia famiglia: riaprendo gli occhi ero cosciente del fatto di essere allettato e la mia preoccupazione era tutta per mia moglie, che stava da sola a casa con due bambini piccoli. Quando uno sta male è lì, può fare poco. Il problema è per chi ti aspetta, che non sa se andrà bene o no, che vive tutto da consapevole e con una grande angoscia».
Alla fine si è risvegliato, cammina sulle sue gambe ma sono stati necessari altri interventi chirurgici. «Dopo un mese in coma mi hanno sottoposto a due maxillo-facciali. Non avevo più il naso, mia moglie mi ha detto che sembravo Joker ma con la bocca ferita in verticale, mi vedeva la gola. I lineamenti sono cambiati». Si riconosce? «Lo specchio lo uso molto meno. Abbiamo comunque scelto di farmi vedere dai bambini subito, il grande piangeva ogni notte e gli mancavo, non ce la faceva più ad aspettare. Mi hanno sempre visto come un uomo di ferro, invincibile, forte, invece ora anche io devo abituarmi a un’altra immagine di me. Prima ci vivevo, di immagine, postavo molto di più sui social. Questo senso di insicurezza e il non metterci più la faccia come prima un po’ lo accuso».
Attualmente la palestra la mandano avanti i suoi collaboratori, Iacorossi ci va quando è possibile anche perché deve lavorare con fisioterapista, osteopata, psicologo. «Il dolore c’è ancora e non è semplice conviverci: ho placche fisse in tutto il volto, occhi, zigomi, sopra le labbra, è come avere dei tagliettini che tirano, una sensazione permanente, ci stiamo un po’ tutti riabituando al dopo incidente».
Meloni le ha scritto? «Quasi ogni giorno, è stata una sorella: ci conosciamo da dodici anni, mi ha scritto di tirare fuori le p…, nel senso del carattere, ed è stata vicinissima…» Piange. «Mi commuovo. Giorgia è stata vicinissima a mia moglie, ma in generale siamo stati circondati da una marea di affetto che ancora adesso ci fa andare avanti, mia moglie non si è mai sentita sola e questo è il più grande regalo che tutti, anche estranei con un messaggio sui social, potessero farci. De Rossi mi ha portato il bambino al derby, sono cose non scontate che ti fanno pensare».
Il suo motto, «non c’è evoluzione senza cambiamento», resta sempre quello o è cambiato? «Resta quello. Però ho anche imparato un’altra cosa e cioè che nella vita serve un materasso, un piano B: è bello presentarsi forti e vincenti, anzi invincibili come dicevo io ai bambini, e invece ora che mi sento vulnerabile dico che bisogna crearsi anche un micromondo per quando si cade, che per me sono mia moglie e i miei figli. Poi ho anche capito davvero e da vicino il lavoro dei medici, nel mio caso del San Camillo: un ringraziamento speciale a loro, per il mio compleanno tramite una raccolta fondi gli abbiamo preso un ecografo per la terapia intensiva, meritano tutto il sostegno possibile. E vorrei dire qualcosa a proposito delle strade…» A Roma sono un dramma, troppi incidenti mortali, prego. «Chi corre o va in bici viene visto male dagli automobilisti, sembra che siamo gente in giro a perdere tempo, che non ha nulla da fare, invece magari chi pedala chissà quanti salti mortali ha fatto per ritagliarsi anche solo quell’ora di sport: chi guida deve capire che non è solo in strada e che serve lo stesso rispetto e attenzione per tutti».
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28 novembre 2024 2024 ( modifica il 28 novembre 2024 2024 | 12:25)
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