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La missione della premier mira a ritagliarsi il ruolo strategico di «ponte e garante tra Washington e Bruxelles»
I politici italiani in arrivo: da sinistra, Carlo Fidanza, Paolo Borchia e Ludovico Seppilli
Se dopo giorni di dubbi Giorgia Meloni ha deciso di sfidare il clima artico di Washington per un’altra missione lampo, a sole due settimane dal blitz a Mar a Lago, non è solo perché è riuscita a spiazzare sui tempi Matteo Salvini, ma perché pensa di aver fatto bene i suoi calcoli politici.
Decollata da Roma alle 18.22 di ieri e pronta a ripartire già stasera stessa, la premier è determinata a consolidare ancor più il suo «rapporto privilegiato» e a ritagliarsi il ruolo strategico di «ponte e garante tra Washington e Bruxelles». Una manciata di ore per stringere in mondovisione la mano a Donald Trump, parlarci occhi negli occhi tra la messa nella cattedrale di St. John e la cerimonia di giuramento e, forse, tempi di volo permettendo, cenare a lume di candela al National Building Museum con la coppia presidenziale.
A chi, anche tra i diplomatici di Palazzo Chigi, riteneva rischioso partecipare alla cerimonia di insediamento come unica leader europea, Meloni ha opposto argomenti tranquillizzanti. Non ha paura di allontanarsi dall’Ue sbilanciandosi dalla parte della nuova tecno-oligarchia americana, ultranazionalista e ultraliberista. Nella Rotunda di Capitol Hill siederà accanto all’argentino Milei, eppure non prevede che finirà inghiottita dall’«internazionale nera» che tanto allarme sta generando tra Bruxelles e le cancellerie Ue. E scaccia con battute sarcastiche le critiche di chi, da sinistra, prevede che l’Italia diventerà «un satellite di Trump e Musk».
Nei piani di Meloni, toccherà a lei tranquillizzare i vertici dell’Ue sulle mire espansionistiche del nuovo presidente Usa e sul terremoto economico dei dazi che allarmano, oltre alla Commissione Ue, anche Palazzo Chigi e via XX Settembre. Più il presidente Usa sarà dirompente e divisivo e più lei cercherà di unire e cucire. «Il mio rapporto con Trump è un valore aggiunto per l’Italia e per l’Europa – è la sua tesi in queste ore per lei “storiche”- Usa e Ue sono alleati dal punto di vista economico, commerciale e politico. Dipingerli come nemici non regge». La premier spera che Palazzo Chigi diventi il centralino telefonico dello Studio Ovale in Europa e prevede una «rincorsa di leader europei che, dopo di me, cercheranno di accreditarsi alla Casa Bianca».
Washington è gelata, imbiancata, blindata da 25 mila agenti. A Capitol Hill non entreranno le delegazioni dei partiti europei e lo stesso staff di Palazzo Chigi ha avuto difficoltà. La diplomazia meloniana lavora a un incontro a quattr’occhi con Trump, che potrebbe tenersi oggi stesso. «Se il presidente ha invitato solo lei è chiaro che ci sarà un faccia a faccia — spera un ministro di FdI — E sarà Giorgia il primo leader a entrare alla Casa Bianca». Nell’attesa, la soddisfazione è alta anche perché «Meloni è riuscita a spiazzare Salvini».
Della delegazione di FdI fa parte Carlo Fidanza, il vicepresidente esecutivo di Ecr: «I repubblicani americani sono da sempre partner ufficiali dei conservatori Ue, la nostra presenza è naturale». E se l’assenza Ue stupisce e preoccupa, lui tranquillizza: «Il protocollo non prevedeva l’obbligo di invitare i vertici della Commissione, il presidente ha personalmente invitato i leader con cui ha maggiore sintonia, tra cui Meloni».
Ci saranno anche Antonio Giordano, segretario generale di Ecr e Andrea Di Giuseppe. Il deputato di FdI eletto negli Usa ritiene che il significato politico più importante del giuramento sia «la fine della globalizzazione e l’inizio di un’era di regionalizzazione». Per molti è una tragedia epocale, per lui «un’opportunità». E anche sui dazi Di Giuseppe sdrammatizza, dal momento che «ci sono categorie doganali dove l’Italia è protetta».
Se Salvini non ci sarà, la Lega sì, con il capodelegazione in Ue Paolo Borchia, felice perché «i Patriots non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno a Trump, dimostrando amicizia e condivisione di valori». Alla Capitol One Arena è spuntata anche una mini delegazione di Forza Italia. Ottime relazioni vanta Ludovico Seppilli, responsabile dei rapporti dei giovani azzurri con i repubblicani. Trumpiano ante litteram, a 23 anni, nel 2015, è stato volontario nella campagna elettorale di Marco Rubio, ora segretario di Stato: «Sulla mappa dei vicini ai Repubblicani Usa, ci siamo a pieno titolo. Il convinto atlantismo del centrodestra di oggi si deve a Silvio Berlusconi».
Nella comunità italiana si dà per possibile la presenza di John Elkann. E per certa quella di Paolo Zampolli, imprenditore che ha postato una sua foto con Jeff Bezos alla festa del Trump Golf club.
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19 gennaio 2025 ( modifica il 20 gennaio 2025 | 01:57)
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