Sempre più spesso si sente parlare di crisi abitativa o, addirittura, emergenza abitativa in Italia. Ma come stanno realmente le cose? I numeri ci dicono che la situazione non è delle più rosee. Confrontando i dati relativi all’aumento delle famiglie con quelli che riguardano le nuove costruzioni si evidenzia un deficit di 459mila abitazioni in meno di quante ne servirebbero secondo le rilevazioni Istat. Scopriamo insieme qual è lo scenario più verosimile attualmente e cosa aspettarsi per il futuro.
I dati ufficiali dell’Istat, per gli anni dal 2018 al 2022, indicano che, a fronte di un aumento delle famiglie di 683.285 unità, sono state ritirate concessioni edilizie per 224.105 nuove abitazioni. Tuttavia, un approfondimento del Cresme configurerebbe uno scenario diverso.
Secondo le elaborazioni del centro di ricerca e di analisi dell’istituto, infatti, nello stesso intervallo di tempo le nuove costruzioni di abitazioni sarebbero state 367.000. Le rilevazioni del Cresme, pertanto, individuerebbero il deficit abitativo nel periodo analizzato in 316.000 unità e non in 459.000 abitazioni come suggerirebbero i dati sui permessi di costruire forniti dall’Istat. Ne scaturisce una situazione in cui le nuove costruzioni soddisfano potenzialmente solo il 33,8% della nuova domanda se utilizziamo i dati sulla concessioni ritirate dell’Istat e il 53,8% se vengono presi in esame i dati del Cresme.
Per fare chiarezza e approfondire questo tema, abbiamo contattato Lorenzo Bellicini, Direttore Tecnico di Cresme Ricerche: “In Italia si registrano profonde differenze territoriali, sia per quanto riguarda i valori di mercato ma anche per quanto riguarda il governo del territorio, con fenomeni importanti di produzione abusiva, che si stanno comunque riducendo. Nella nostra stima, non consideriamo solo una componente di abusivismo, ma facciamo una proiezione di diversi fattori, considerando anche a volte le piccole amministrazioni locali non rispondono, ma questo non vuol dire che non si siano costruite nuove abitazioni”.
Per Bellicini, il tema della rilevazione del deficit abitativo meriterebbe un approfondimento minuzioso: “Ad oggi è possibile fare un’analisi del confronto tra quanto si produce e quanto crescono le famiglie, ma una vera e propria analisi del fabbisogno abitativo, necessita di conoscere anche il fabbisogno pregresso al periodo circoscritto che viene analizzato”.
Per il direttore tecnico di Cresme Ricerche, ci sarebbe bisogno di “uno scenario previsionale parta da situazione zero, che non c’è, messo in relazione con la domanda emergente (ovvero le nuove famiglie che si formano ogni anno). Ma è complicato definire il fabbisogno pregresso, non abbiamo più analisi censuaria come si faceva con puntualità nel passato, quando si confrontavano i dati anagrafici. Il nuovo modello lavora su dati catastali, risolve un problema sulla fonte demografica, ma restano ampi punti interrogativi sull’uso del patrimonio. Il grande dibattito, oggi, è quello sulle case non occupate, non sempre si tratta di case non occupate, perché magari sono adibite ad altri usi rispetto al residenziale”.
Sempre secondo Bellicini: “Oggi la questione abitativa è tornata all’attenzione anche perché i prezzi delle locazioni sono cresciuti moltissimo, quindi le fasce di domanda in alcune aree più dense non riescono a risolvere il problema abitativo. Mentre la domanda della fascia più debole, che fatica a entrare nel mercato, avrebbe bisogno di nuova edilizia popolare agevolata. Nel frattempo, la fascia intermedia avrebbe bisogno di forme di housing sociale, ma gli aumenti dei costi di costruzione e i livelli di redditi che abbiamo rendono la questione e la risoluzione del problema ancor più complessa che in passato”.
Gli ultimi dati ufficiali diffusi dall’Istat sulla produzione edile riguardano il periodo che va dal terzo trimestre 2023 al terzo trimestre 2024. L’evoluzione della concessione di permessi di costruire evidenzia come il picco, nel periodo analizzato, sia stato raggiunto a marzo 2024 (14.918), a cui è seguita una lieve flessione nei tre mesi successivi fino a un crollo registrato a luglio 2024 (12.423), tornato praticamente ai livelli di 12 mesi prima.
In un articolo di Cresme vengono riportati anche dei significativi dati di Euroconstruct, un network fondato nel 1972 da alcuni istituti di ricerca indipendenti (tra cui CRESME per l’Italia), che oggi è formato da 19 istituti di ricerca in rappresentanza di altrettante nazioni che si incontrano semestralmente per fare il punto con un Rapporto congiunturale e previsionale sul mercato delle costruzioni in Europa.
Dal report emerge che i Paesi che hanno speso di più sulla produzione abitativa, rispetto alla crescita delle famiglie, sono in primo luogo la Germania, in crisi demografica e con un incremento di famiglie nel periodo in esame di solo 380.000 unità, contro le 1.153.000 della Francia, le 1.257.000 del Regno Unito e le 714.000 dell’Italia.
Anche Cresme sottolinea come l’Italia rappresenti una chiara anomalia nel contesto continentale. Nessun altro Paese produce meno abitazioni nuove in Europa e nessuno totalizza una discrepanza negativa così marcata tra domanda e offerta. “Non solo in chiave storica, ma soprattutto rispetto a una domanda incrementale che continua a crescere e di cui le nuove famiglie sono solo un importante aspetto”, sottolinea Bellicini.
Tuttavia, Bellicini specifica che: “Il nostro mercato ha vissuto una fase diversa rispetto a quella di altri Paesi, dopo la bolla del 2008, in Italia le case sono svalutate del 28% secondo i dati ufficiali, secondo l’ufficio studi del Cresme almeno del 35%, e in questi ultimi due anni sono cresciute in termine di valore. Mentre in altri Paesi non è successa la stessa cosa, è difficile quindi comparare mercati diversi”.
“La casa non è stata più oggetto di vere e proprie politiche – ricorda Bellicini – l’aggravante è l’inflazione, che ha portato a forti aumenti nei costi di costruzione”. Un effetto domini che si è innescato in un contesto già, di per sé, in forte sofferenza dal punto di vista abitativo. Non solo, perché anche lo “scenario demografico è delicato, dal 2014 a oggi abbiamo perso un milione e 400.000 famiglie – ricorda il direttore tecnico di Cresme Ricerche – e per i prossimi 10 anni cresceranno le famiglie, poi ci sarà una contrazione. Ci aspettiamo profonde differenze sul mercato, con aree sempre più attrattive e altre che si svuoteranno”.
Ma come se ne esce? Per Bellicini: “Quello di cui abbiamo bisogno è politica nazionale per la casa e al livello locale serve sviluppare nuovi modelli che tengano conto del cambio del mercato, per rispondere a una domanda che c’è già. La casa tornata al centro delle questioni politica, ma è necessario pensare in temini nuovi per risolvere questa crisi”.
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