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II pianista e compositore ha raccontato la sua battaglia contro la malattia a seimila studenti al Forum di Assago: «La mia salvezza? Pensare ai miei familiari. E poi la cultura»
Giovanni Allevi sul palco del Forum (foto Matteo Corner/Ansa)
«E, allora, ci siamo – racconta Giovanni Allevi a una platea di studenti attentissimi –. Dalla porta una mattina un giovane dottore entra con veemenza senza bussare, resta sulla porta, non ha la tuta, calzari e mascherina. Agita dei fogli e mi dice: “Maestro, hai tredici globuli bianchi”!. Io che ho il senso dell’umorismo gli rispondo: “Dottore, non sono un po’ pochini?”. Ma lui sorride e se ne va. Cosa stava succedendo? Che le cellule stavano producendo nuovo midollo osseo. In realtà i globuli bianchi erano 13 per millimetro cubo. La bilancia che prendeva verso la mia morte iniziava di nuovo a pendere verso la vita. In quel momento sono stato investito da una felicità allo stato puro. Mi è venuto addosso un camion, un grattacielo di felicità. Perché ero felice? Per risultati professionali di qualche tipo? Perché avevo venduto dei dischi? Perché erano aumentati i follower? No, perché ero semplicemente vivo».
Il giorno in cui è stato «immensamente felice». Il giorno da cui porta con sé una «profonda gioia di vivere», che non se ne mai più andata. Quel giorno il pianista e compositore Giovanni Allevi lo ha raccontato, a cuore aperto, a seimila studenti lombardi, riuniti martedì al Forum di Assago per lo spettacolo «Happiness on Tour. Vite – Storie di felicità», promosso dalla Fondazione della Felicità. Ospiti d’onore, Giovanni Allevi e Amalia Ercoli Finzi, insieme ad altri protagonisti del mondo dello sport, della scienza, dello spettacolo.
Allevi è l’ultimo a salire sul palco. Non c’è un pianoforte. «Sono emozionantissimo» dice ai ragazzi che lo accolgono con i cellulari-torcia sventolati in aria, applausi e fischi d’apprezzamento. Un video introduttivo lo mostra mentre suona nei teatri di tutto il mondo, gioca coi piccoli fan, finisce sulle copertine di centinaia di testate. «Ma questa era la mia vita due anni fa. Poi è arrivata una malattia terribile, che ha spazzato via tutto. Tanto che oggi mi chiedo, magari è venuta apposta?» esordisce il compositore, per poi aggiungere di voler raccontare agli studenti «il momento del giorno della mia vita recente, dopo che è accaduto questo (la scoperta del mieloma multiplo da cui è affetto) in cui sono stato immensamente felice». E così chiede ai ragazzi se sono pronti a «questo piccolo viaggio nell’inferno» fatto di fasi mediche, ma narrate dal punto di vista del paziente.
Si comincia con la notizia di dover fare di nuovo 10 punture nella pancia, cosa che «con il tremore alle mani è molto difficile» (e Allevi lo dice mostrando ai ragazzi la mano che trema). «No, dico io, non ne posso più, è da un anno che faccio punture sulla pancia. Poi ci rifletto e dico: va bene. E lo dico con una certa risolutezza, non con rassegnazione. La resilienza è una parola che non mi è mai piaciuta, mi fa pensare all’accettazione passiva di una condizione negativa. Io invece ho uno spirito combattivo».
La malattia gli ha insegnato «ad assumere il comando più importante, il dominio su me stesso, sulle mie paure, sulle mie ansie. Ho dovuto tenere lo sguardo dritto sui fiori mentre camminavo sull’inferno, ho dovuto regalare un sorriso alle persone che mi stavano vicino anche quando il dolore fisico era insopportabile», ha detto Allevi ai ragazzi, sottolineando di aver trovato ispirazione dalle pagine di «Imperium» scritto dallo storico Giovanni Brizzi. «Nell’antica Roma le persone destinate al comando dovevano avere tre qualità: autoritas, dignitas e gratia. Ciò che davvero mi ha sorpreso è stata la grazia. Dovevi avere grazia nel parlare, nel gesto, nel movimento, nelle intenzioni. In questi due anni di malattia ho fatto mie queste tre parole. Non certo perché sia una persona destinata al comando, per carità. Sono una persona delicatissima, non amo dire agli altri ciò che devono fare o pensare. Infatti quando ero insegnante alla scuola media ero un disastro» ha confidato, facendo ridere i ragazzi e i circa 500 insegnanti che li accompagnavano.
Le punture servivano a stimolare il midollo osseo a produrre cellule staminali, che sono il futuro della medicina. Le staminali vanno separate dal resto del sangue, perché possano essere reimmesse, in futuro con l’auto trapianto. Così Allevi finisce in reparto. «Uno stanzone pieno di letti, un telo a separarli. Io non la vedo, ma vicino a me c’era una bambina, avrà avuto 7 anni e piangeva, piangeva. E i genitori e infermieri e medici cercavano di distrarla, di rasserenarla» dice Allevi commosso, per poi aggiungere: «Dio, perché permetti queste cose? Io ho dato, va bene. Ma una bambina di 7 anni? Questo è un problema grandissimo anche a livello teologico».
Ma il racconto prosegue e si fa più doloroso. «Il midollo osseo malato si mangia le ossa dall’interno e non potete capire il dolore. E infatti sono imbottito di oppioidi potentissimi, cento volte piu potenti dell’eroina e infatti andrò incontro alla crisi di astinenza, che è un’esperienza spaventosa». Poi arrivano la chemio e i suoi effetti collaterali. I capelli che se ne vanno «un giorno ho sentito un grande bruciore sulla testa e sono caduti tutti insieme nel giro di qualche ora, li ho tolti quasi fosse una parrucca». È arrivato il momento più basso. «Calvo, imbottito di psicofarmaci e di oppioidi che per mesi e mesi mi davano la sensazione di avere 39 di febbre. Debolissimo, senza appetito, dimagrito, pensavo 63 chili. Lì ho pensato che bastava che decidessi di lasciarmi andare e mi sarei spento».
Invece, due cose gli danno la forza di rimanere attaccato alla vita. Sono la volontà di non dare un grande dolore ai suoi familiari. «E poi, la cultura». Troppo debole per poter leggere, il maestro ascolta tante conferenze, di storia, filosofia, letteratura classica. «Ho scoperto che la fragilità umana non era solo un fatto mio. È una costante nella storia dell’umanità. Mi sono sentito meno solo». E finalmente, dopo un’attesa di settimane, («ma l’attesa è una disciplina e fa parte dell’arte di vivere secondo i giapponesi») arrivano i «tredici globuli». «Ho provato un profondo senso di gratitudine, per essere vivo, per il talento dei medici, per l’affetto degli infermieri, per il colore rosso dell’alba che è diverso dal rosso del tramonto».
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Dopo il picco, la felicità non se ne è mai più andata. «Inevitabilmente, nella natura umana, sono tornato nella normalità. E infatti i Greci, che avevano capito tutto, avevano individuato due divinità a gestire il tempo. Il dio dell’attimo, Kairòs, e poi Kronos, il dio della quotidianità. Ma dopo quel picco, è iniziata una fascia compatta di gratitudine e ancora è lì» ha concluso il compositore con l’augurio ai ragazzi di fare tesoro di ciò che ha loro appena donato: «La mia vita, la mia sofferenza, la mia felicità».
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20 marzo 2024 2024 ( modifica il 21 marzo 2024 2024 | 09:38)
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