Il via libera della Toscana alla legge sul suicidio assistito ha riacceso il dibattito a livello nazionale, dove una legge sul fine vita è ancora in sospeso. La Corte Costituzionale ha ampliato i criteri per accedere al suicidio assistito, ma le procedure rimangono poco definite. La legge toscana stabilisce un iter chiaro, con l’istituzione di una commissione multidisciplinare e scadenze precise per la valutazione e l’esecuzione della pratica
Il via libera della Toscana alla legge regionale sul suicidio medicalmente assistito ha riaperto il dibattito sul tema a livello nazionale, dove la legge sul fine vita rimane ancora bloccata nei cassetti. Dopo oltre 5 anni di stallo dalla prima sentenza della Consulta che ha aperto la strada al suicidio medicalmente assistito in Italia, la Toscana ha fatto il primo passo concreto, diventando la prima Regione italiana a garantire ai malati tempi e modalità certi per l’accesso al fine vita, approvando a maggioranza la legge di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni. Una mossa che potrebbe essere seguita presto da altre Regioni, come il Veneto, guidato dal governatore Luca Zaia, che ha sempre sostenuto questa causa. Finora la questione è stata affrontata in 15 Regioni, in alcuni delle quali però si è bloccata ancor prima dell’inizio dell’iter in aula. Il percorso che ha portato all’approvazione della legge in Toscana è stato lungo e complesso. Ecco le sue principali tappe. (FINE VITA: COME LA PENSANO GLI ITALIANI. VIDEO)
L’eutanasia è vietata in Italia, mentre il suicidio assistito, a seguito del primo intervento della Corte Costituzionale del 2019, è consentito ma solo ad alcune condizioni. La storica sentenza sul caso del Dj Fabo, infatti, ha aperto la strada a questa procedura medica. Quel verdetto stabiliva – e restano valide anche attualmente – quattro condizioni richieste per permettere la pratica del suicidio medicalmente assistito: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale. A cinque anni di distanza, nonostante le indicazioni della Corte, una legge nazionale sul fine vita non è ancora stata approvata.
Nel frattempo, la Corte Costituzionale è intervenuta nuovamente sul tema, affrontando uno dei punti più discussi, ovvero la dipendenza da un trattamento di sostegno vitale quale requisito per ottenere il suicidio medicalmente assistito. Con una sentenza che ha ampliato i criteri di accesso, la Corte ha ridefinito il concetto di "sostegno vitale". Sebbene siano stati confermati i principi della sentenza di Dj Fabo del 2019, i limiti precedentemente stabiliti sono stati allargati. Non viene più preso in considerazione solo il fatto che i pazienti siano legati a macchine per la sopravvivenza, ma anche le pratiche di supporto che possono essere fornite dai caregiver o dai familiari della persona malata. La sentenza ha, inoltre, stabilito che deve essere il giudice nella sua autonomia a valutare se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito. Ma non solo. La Corte ha inoltre precisato che "non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti”. Questo sviluppo si inserisce in un contesto di cambiamenti culturali più ampi: secondo il Rapporto annuale del Censis, nel 2023, il 74% dei cittadini italiani si è dichiarato favorevole all’eutanasia.
Ma se il diritto al suicidio medicalmente è stato riconosciuto, mancano totalmente tappe e adempimenti che il paziente che vuole ricorrere alla pratica deve seguire. Il Servizio sanitario, infatti, non garantisce tempi certi per effettuare le verifiche e rispondere alle persone malate che hanno diritto di porre fine alla propria vita. E in attesa di una legge nazionale che regoli la materia, le Asl nella decina di casi di suicidio assistito già registrati si sono mosse in autonomia. Per ovviare a queste criticità, l’Associazione Luca Coscioni ha avanzato nelle regioni proposte di legge che garantiscano il percorso di richiesta di “suicidio” medicalmente assistito e i controlli necessari in tempi certi, adeguati e definiti. Un testo presentato in tutte le Regioni, che solo ieri è arrivato al via libera in Toscana.
In Toscana, la proposta di legge “Liberi subito” è stata depositata lo scorso marzo e ha raccolto oltre 10mila firme. Ieri, dopo un lungo e acceso dibattito, il Consiglio regionale ha approvato la proposta di legge a maggioranza: 27 voti a favore del centrosinistra e 13 contrari del centrodestra, nessun astenuto e un solo consigliere che non si è espresso. La legge è stata modificata dall’assemblea toscana tramite una dozzina di emendamenti volti a ottenere una norma con carattere procedimentale che detta tempi e modi dell’attuazione del suicidio assistito sulla base di quanto stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale.
La legge regola la procedura di verifica che il Servizio sanitario nazionale deve effettuare per consentire l’accesso al suicidio assistito, come stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, che ha escluso la punibilità di chi aiuta al suicidio su richiesta di un malato in condizioni particolari. Il testo prevede la creazione di una commissione medica multidisciplinare presso ogni azienda sanitaria, composta da un medico palliativista, un neurologo, uno psichiatra, un anestesista, un infermiere e uno psicologo. Questa commissione avrà il compito di verificare se sussistono le condizioni per l’accesso del malato al suicidio assistito e di determinare le modalità di esecuzione. L’ultima parola spetterà al comitato etico territoriale previsto dalla Consulta, come già dettato da una precedente legge regionale sul tema. Nello specifico, il testo delle legge specifica che la procedura per la verifica dei requisiti del malato da parte della commissione multidisciplinare permanente deve essere completata entro 20 giorni dalla richiesta del paziente. Se la valutazione è positiva, l’approvazione del suicidio assistito e la definizione delle modalità di attuazione devono avvenire entro 10 giorni, e entro ulteriori 7 giorni l’azienda sanitaria dovrà garantire il supporto tecnico, farmacologico e sanitario necessario per l’assunzione del farmaco.
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Ansa/Sky TG24
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