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Massimo Moratti l’ha definito«il mio capitano» e lui, Zanetti, adottato dall’Italia dice: «Ne sono orgoglioso. Quando sono arrivato qui nemmeno voi giornalisti mi riconoscevate. Oggi i miei figli tifano con addosso la mia maglia»
Javier Zanetti, 30 anni fa Massimo Moratti acquistò l’Inter.
«E fu magia per il club, per i tifosi… E anche per me!».
Fu infatti lei il primo vero grande acquisto del lider Massimo.
«Ero uno sconosciuto, a certi livelli giocavo da appena tre anni in Argentina. E con me, a Milano, arrivò Sebastián Rambert, che era invece capocannoniere ai tempi. Nemmeno voi giornalisti mi avevate riconosciuto (sorride)».
Cioè?
«Mi passavate vicino, prima della presentazione, e pensavate che fossi un vostro collega sudamericano…».
Il suo primo impatto con Massimo Moratti?
«Fui prima presentato alla Terrazza Martini, poi mi portarono dal presidente, nei suoi uffici: un colpo di fulmine. Umano, appassionato, subito affettuoso: per un ragazzino come me – non avevo ancora 22 anni – sentire tutto quel profumo di famiglia risultò decisivo. Mi fece poi capire immediatamente che cosa fosse l’Inter… Non l’ho mai dimenticato».
Dopo tanti anni, cosa rappresenta Moratti per Javier Zanetti?
«Molto, moltissimo, quasi tutto. Ha creduto in un ragazzino che non aveva ancora fatto niente, mi ha regalato una vita meravigliosa, non solo professionalmente: è stato vicino a me e alla mia famiglia, sempre pronto a dare una mano e regalare un consiglio. Parliamo di tutto, non solo di calcio. Lo considerò un papà, e non è un modo di dire. Personaggi così non ce ne sono più, soprattutto nel calcio. Scendevo in campo ed ero pronto a dare la mia vita per questa maglia, per i tifosi e per lui».
Quando lo ha visto veramente felice?
«La sera del Triplete, nel 2010, a Madrid. Ci abbracciammo fortissimo senza dirci nulla. Sapevo che stava pensando anche al suo grande papà e a quanto potesse essere orgoglioso di lui. Ma lo vidi raggiante pure una settimana prima, a Siena, quando vincemmo lo scudetto nel giorno del suo compleanno, il 16 maggio. Ero fiero di aver potuto restituire qualcosa a un uomo che ci aveva dato ogni cosa e per il quale provo e proverò sempre eterna gratitudine».
Ma l’ha mai visto infuriato?
«Sì, dopo le eliminazioni in Champions con Liverpool e Manchester. E bisognava stare attenti anche a cavallo dei derby…».
Perché?
«Certe partite non si potevano perdere o giocare male. Il presidente non le digeriva facilmente».
Sul finire della sua gestione, Massimo Moratti ha definito Javier Zanetti «il mio Capitano».
«Ne sono orgoglioso. Le sue parole hanno un grande peso nel mio cuore».
Nel lungo percorso nerazzurro, c’è qualcuno che le manca più di altri?
«Giacinto Facchetti! Ho nostalgia dei suoi racconti sulla Grande Inter, su ciò che doveva rappresentare la maglia nerazzurra, su come dovevamo comportarci, sempre. Una scuola di vita alla Pinetina».
Torniamo indietro di 30 anni, chi ricorda della sua prima Inter?
«Lo Zio Bergomi, poi Pagliuca, Paul Ince, Massimo Paganin e Winter. Senza dimenticare Roberto Carlos… Eravamo una bella coppia di terzini, vero? E c’era anche Ganz, che in una giornata particolarmente nevosa venne a prendermi in macchina, perché “non sei in grado di guidare” mi disse (ride)».
Il più forte compagno in nerazzurro?
«Ronaldo il Fenomeno, roba dell’altro mondo».
Zanetti, cos’è oggi l’Italia per lei?
«Sono stato adottato da questo meraviglioso Paese. I miei figli sono italiani e tifano con la maglia azzurra addosso. E mia moglie Paula dice sempre che “in Italia abbiamo trovato il nostro posto nel mondo”. Ha ragione. Tutto questo grazie soprattutto a papà Moratti».
Massimo Moratti 30 anni fa diventava presidente dell’Inter: «La Roma indebitata mi offrì Totti, dissi no. Anche Messi e Iniesta vicini alla maglia nerazzurra»
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18 febbraio 2025 ( modifica il 18 febbraio 2025 | 07:42)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lungo il percorso degli olandesi verso lo stadio
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