Il presidente Usa preciserà l’ampiezza delle nuove tariffe sulle merci estere, che diventeranno operative "da subito" e si aggiungeranno a quelle già previste. Dovrebbero colpire "tutti i Paesi" e non solo quelli con cui gli Stati Uniti hanno i maggiori squilibri commerciali. L’Ue: "Risponderemo". Meloni: "No a guerra commerciale"
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È atteso per le 22 di stasera l’annuncio di Donald Trump sui dazi da applicare sulle merci estere: oggi, 2 aprile, per gli Stati Uniti è il “Liberation Day“. Le nuove tariffe, di cui non si conoscono ancora i dettagli, saranno immediatamente operative, ha fatto sapere la Casa Bianca. Il presidente Usa ha però detto che sarà più “gentile” con gli altri Paesi di quanto gli stessi lo siano stati con gli Usa. Inizialmente si era diffusa la voce per cui i dazi avrebbero colpito solamente gli Stati dei ‘dirty 15’ (‘gli sporchi 15’), cioè quelli con cui Washington ha uno squilibrio commerciale maggiore. 
Stando a quanto rivelato dallo stesso Trump nei giorni scorsi non sarà però così. Dovrebbero applicarsi alle merci in arrivo “da tutti i Paesi” e si aggiungeranno a quelli già previsti per specifiche merci e prodotti: automobili, acciaio, alluminio. Secondo i calcoli del consigliere della Casa Bianca Peter Navarro, faranno aumentare le entrate federali di 600 miliardi di dollari l’anno, per un ammontare di 6.000 miliardi nei prossimi dieci anni. 
L’Unione europea si dice pronta a rispondere alle tariffe di Trump: “Avverrà al momento opportuno”, fanno sapere fonti della Commissione Ue. La premier Meloni: “L’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti per i produttori italiani. Se serve, risposte adeguate. Ma no a guerra commerciale“. Più duro il capo dello Stato Mattarella: “Le tariffe? Un errore profondo”.
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Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare in tutti i modi possibili una guerra commerciale che non avvantaggerebbe nessuno, né Stati Uniti né Europa. Il che ovviamente non esclude, se necessario, di dover anche immaginare risposte adeguate a difendere le nostre produzioni”. Così la premier Giorgia Meloni sui dazi Usa.
L’economia americana rischia di scivolare in recessione, con un tasso di disoccupazione al 7%, se dazi universali del 20% dovessero essere imposti dall’amministrazione Trump scatenando una dura reazione dai partner commerciali americani. Così prevede Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, secondo quanto riporta il Washington Post. Dipingendo quale potrebbe essere lo scenario peggiore con i dazi universali, Zandi ha spiegato che una loro entrata in vigore nel trimestre in corso potrebbe spingere la disoccupazione al 7,3% agli inizi del 2027, facendo perde più di cinque milioni di posti di lavoro. Il tasso di disoccupati scenderebbe poi vicino al 6% nel 2028.
Mentre i vertici della Ue promettono “vendetta” contro le tariffe Usa, la premier italiana si prepara a trattare giocando la carta del dialogo per salvaguardare l’economia nazionale. L’invito ai suoi interlocutori è chiaro: “Bisogna evitare di alimentare un’escalation di dazi contro dazi, perché tutti ne farebbero le spese”. Ecco come il governo Meloni si prepara a trattare con Trump e Vance.
L’annuncio sui dazi è previsto per le 22 ora italiana.
Trump starebbe pensando di annunciare la creazione dell’External Revenue Service, una sorta di agenzia che “raccoglierebbe tariffe, dazi e tutte le entrate provenienti da fonti estere”. Lo rivela Cbs news, secondo cui il presidente potrebbe anche imporre tariffe su merci di basso valore spedite dalla Cina ai singoli consumatori statunitensi.
“Noi non siamo in guerra, non vogliamo, però se dobbiamo reagire reagiremo. È l’ultima ratio. Però vediamo qua quali sono le cose. Viene da loro la decisione di fare un’offensiva sui dazi. Noi non vogliamo fare nessuna guerra commerciale, però se dobbiamo difenderci, ci difenderemo. Ripeto, è l’ultima soluzione. Vediamo, valutiamo quali sono le scelte e poi decideremo”. Così il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, parlando con i giornalisti in Transatlantico alla Camera, ha risposto a una domanda sulla reazione europea ai dazi Usa.
Il presidente del Cile Gabriel Boric critica Trump, accusandolo di volersi imporre “come un imperatore”. Boric evidenzia come “i dazi vengono imposti unilateralmente, senza tener conto delle regole concordate di comune accordo, ignorando tutti i principi che regolano il commercio internazionale”.
Una robusta spallata alla nostra economia: è quanto teme Confindustria a causa della guerra dei dazi nella peggiore ipotesi possibile c’è con una escalation duratura a colpi di tasse e contro tariffe alla dogana fra Stati Uniti, Europa e Cina. Per l’Italia nello scenario più fosco, la crescita si comprimerebbe in modo notevole col prodotto interno lordo che quest’anno perderebbe lo 0,4%, salendo così nell’intero 2025 solo dello 0,2. Un impatto negativo che sarebbe ancora maggiore nel 2026 quando la guerra commerciale peserebbe per lo 0,6%.
Il governo israeliano ha annunciato che cancellerà tutte le tariffe rimanenti sulle importazioni americane, in un apparente tentativo di assicurarsi l’esenzione nella nuova ondata di imposte che il presidente Trump dovrebbe annunciare mercoledì. Israele e gli Stati Uniti, due stretti alleati, hanno un accordo di libero scambio dal 1985 che esclude la maggior parte dei prodotti americani dalle tariffe israeliane. Oggi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato la decisione di rimuovere tutte le tariffe rimanenti come passo verso una maggiore liberalizzazione del commercio.
In attesa di chiarimenti e soprattutto di certezze, le piazze finanziarie mondiali restano alla finestra preoccupate dall’impatto che il pugno duro americano potrebbe avere sull’economia globale. La Borsa peggiore è stata quella di Francoforte, che ha concluso con un calo dello 0,6%, seguita da Amsterdam negativa dello 0,4%. In ribasso dello 0,3% il listino di Londra e dello 0,2% Parigi, sullo stesso piano di Milano che con l’indice Ftse Mib ha concluso la seduta in calo dello 0,27% a 38.454 punti. Madrid invece ha tenuto e ha segnato un rialzo finale dello 0,2%.
Le ipotesi che sono state presentate a Trump dal suo team sono quattro. Una prevede dazi universali del 20% da applicare a quasi tutte le importazioni americane. La seconda invece stabilisce livelli tariffari più bassi per un determinato numero di Paesi. Un’altra delle opzioni invece prevede tariffe reciproche per tutti i Paesi da eventualmente negoziare con gli interessati. La quarta è infine è un sistema ‘misto’, con tre livelli di dazi mirati a singoli Paesi o gruppi. 
Le tariffe Usa agitano in particolare il mercato di uno dei prodotti simbolo del Made in Italy: il vino. “Gli effetti dei dazi sono già presenti almeno da un mese. Gli ordini e i ritiri nell’ultimo periodo si sono rallentati e negli ultimi giorni bloccati, e questo è stato congiuntamente deciso tra produttori ed importatori, in attesa delle evoluzioni e delle decisioni effettive adottate o in via di adozione dell’amministrazione Trump”, dice Rosario Di Maria, presidente di Cantine Ermes.
Per il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i dazi americani sono un “errore profondo” per cui da parte europea “serve una risposta compatta, serena, determinata”.
La complessa dinamica negoziale tra Stati Uniti e Russia è un continuo alternarsi di aperture e prove muscolari. Stavolta a mobilitarsi sono stati i senatori americani, che con una mozione bipartisan hanno proposto dazi del 500 per cento sui beni importati dai paesi che acquistano petrolio, gas, uranio e altri prodotti russi, per spingere Mosca a fare passi concreti verso la pace in Ucraina.
I dazi di Donald Trump rischiano di costare caro all’Italia. Proprio la forza del made in Italy negli Stati Uniti, dove vengono realizzate oltre il 10% delle esportazioni nazionali, potrebbe trasformarsi in un boomerang. Le imprese più a rischio, secondo l’Istat, sono 3.300 aziende che risultano “vulnerabili”: vendono soprattutto prodotti farmaceutici, prodotti meccanici come turboreattori e turbopropulsori, gioielleria, cibo, vino, olio e mobili. Il Centro studi Confindustria segnala che i settori dove le esportazioni americane pesano di più sono quelli delle bevande (negli Usa il 39% dell’export extra Ue), gli autoveicoli (30,7%), gli altri mezzi di trasporto (34%) e la farmaceutica (30,7%). Secondo la Svimez, in caso di dazi al 20% l’agroalimentare, il farmaceutico e la chimica, rischiano una perdita delle esportazioni tra il 13,5 e il 16,4%. Moda e mobili si difenderebbero meglio, e andrebbero incontro a un -2,6%. La Coldiretti indica, solo per il vino, costi di 6 milioni al giorno per le cantine italiane.
Secondo alcune indiscrezioni sembra che gli Usa applicheranno una tariffa uguale sulle merci in arrivo da qualsiasi Paese estero, che poi potrebbe essere rivista negoziando bilateralmente con ogni singolo Stato.
Non sono solo i dazi a tener banco nel dibattito politico in Usa. Il presidente Donald Trump avrebbe rivelato alla sua cerchia ristretta, inclusi membri del suo gabinetto, che Elon Musk lascerà il suo attuale incarico governativo nelle prossime settimane, riporta Politico. COSA SAPPIAMO.
Wall Street, dopo aver aperto in calo, sale in attesa dei dazi. Il Dow Jones adesso sale dello 0,26% a 42.110,96 punti, il Nasdaq avanza dello 0,61% a 17.557,82 punti mentre lo S&P 500 mette a segno un progresso dello 0,39% a 5.655,15 punti.
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Come scrive Axios, il team di Trump sta cercando di capitalizzare al massimo il sostegno dei suoi più fedeli fan per creare un fondo utile a promuovere il programma del presidente e spingere i candidati favoriti nelle elezioni di mid-term. A quest’operazione sta contribuendo molto Elon Musk, le cui apparizioni pubbliche con i prodotti Maga aiutano ad aumentare gli ordini
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Di NewsBot