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È iniziata alle 12.15 l’informativa alla Camera dei ministri di Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sul caso Almasri
Ettore Rosato (Azione) contesta al governo di non essere venuto subito a spiegare le ragioni dei propri comportamenti. «In passato altri ministri non si nascondevano, le stesse cose potevate farle voi, risparmiavate al nostro Paese dieci giorni di inutile dibattito. Spero che tutto questo serva solo a capire che cosa vuole fare l’Italia con la Libia». 
Il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi richiama le parole di Schlein, parlando di una giornata triste alla Camera. Ma lo fa per sottolineare la differenza tra chi ha senso di responsabilità e chi ha perso l’occasione per fare un’opposizione che non sia semplicemente contro il nemico. «Il governo è scappato? Il governo era pronto a riferire la scorsa settimana. Ma è accaduta una cosa: il giorno prima dell’informativa sono stati inviati degli avvisi di garanzia. Una cosa che fa del male alla magistratura, alle istituzioni e a noi che vogliamo onorare la politica?». Tornando ad Almasri, per Lupi non è il governo a liberare, ma la Corte d’appello: l’unica cosa che poteva fare il governo era espellerlo. «Voli di Stato? Dal 2015 a oggi ci sono stati 826 espulsioni per ragioni di sicurezza nazionale, e tutti con aerei che sono cosiddetti operativi. Nel 2025, tanto per dire, sono state espulse altre nove persone indesiderate, e sono state mandate via come abbiamo sempre fatto». 
«Mi sembra che qui oggi abbiamo assistito alla saga del pregiudizio e dell’ ignoranza crassa rispetto a norme che governano nostro paese». Lo ha detto il deputato Davide Bellomo (Lega) intervenendo in aula alla Camera dopo l’informativa del ministro della Giustizia Carlo Nordio e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sul caso Almasri. «Sarei stato il primo accusatore» di Nordio «se avesse arrestato il peggior criminale non rispettando la norma» perché la «forza di uno Stato risiede nel rispetto delle regole».
Giorgio Mulé (Forza Italia) difende i ministri: «E’ stato fatto ciò che andava fatto, questa è un’Aula dove non si tengono processi. La scelta del governo, di espellere quel criminale di fronte a cui ognuno di noi prova ribrezzo, è stata giusta? Dobbiamo chiederci a quali rischi sarebbero stati esposti i cittadini italiani», dice Mulé. «Il senso della decisione assunta dal governo: what if, qual era lo scenario nel caso in cui lo avessimo trattenuto? I dati in nostro possesso consentivano di elaborare scenari insieme drammatici e terribili. Il governo doveva espellerlo come ha fatto». 
La presidente del Consiglio è la grande assente anche per il leader M5S: secondo Giuseppe Conte, Meloni ha dato tre versioni diverse della vicenda e poi non è venuta a riferire in Aula. «Ormai siamo diventati un porto franco, un Paese dei balocchi dei criminali». Per Conte Nordio è stato «il giudice assolutore di Almasri», e ha avuto un atteggiamento «scandaloso»: «Sino ad adesso vi eravate fermati a dire che era colpa dei giudici o che era colpa di un complotto dell’Aja, la Meloni ha invece detto che lei non era informato. Prima ha detto che il documento era troppo corposo, poi è entrato nel merito di un documento che è intervenuto dopo a corroborare il mandato d’arresto, non a rinnegarlo. Lei ha detto che si applica il Codice penale, e lei doveva ai sensi della legge 237 dare seguito al provvedimento dell’Aja. Vergogna, vergogna, vergogna», dice Conte, canzonando Nordio per l’uso delle espressioni «leculeie» e delle lingue: «Dietro c’è la sostanza politica della vostra irresponsabilità, l’insipienza giuridica. Lei ha chiamato in gioco Meloni, ne parlerete al tribunale dei ministri. E tutto questo nasce dal fatto che questo governo ha fatto la campagna elettorale sul blocco navale, ma poi ha capito che non si poteva realizzare».   
«Questa è una giornata triste per la democrazia, i ministri sono venuti a coprire le spalle alla presidente del Consiglio, oggi in quest’Aula doveva esserci Giorgia Meloni, che non può pensare di cavarsela con le dirette sui social. La credibilità internazionale dell’Italia è stata sfregiata dalla vostra scelta di liberare un torturatore libico. Nonostante le accuse, viene fatto salire su un aereo di Stato ed è sbarcato a Tripoli come un eroe, con il rimpatrio più veloce della storia d’Italia. Meloni si nasconde dietro di voi, e voi avete parlato come avvocati difensori di un torturatore, le domande a cui dovreste rispondere sono molto seplici: perché il ministro Nordio non ha risposto alle richieste del Procuratore generale? Prima ci dicono che non ha fatto in tempo a scarcerarlo perché non aveva fatto in tempo a leggere 40 pagine in inglese, e poi ha detto che le aveva lette così bene, che aveva trovato dei cavilli. E se anche ci fossero stati questi cavilli, perché non lo ha fatto riarrestare il giorno dopo? Perché diceva di star valutando gli atti, quando un Falcon stava già aspettando il torturatore per riportarlo a casa? Il ministro deve trasmettere gli atti, non valutarli, ha accusato noi di non aver letto le carte ma lei non ha letto la legge e l’ha violata. Nessuno di questi articoli di informazione preventiva non prevedono niente di quello che ha detto. E’ venuto a dire che mentre interloquivate, vi siete lasciati scappare un torturatore? Perché dite che è stato liberato per motivi di sicurezza? Allora i criminali è meglio lasciarli andare? E poi, se erano tanto sbagliate le accuse della Corte penale, allora perché lo avete mandato così velocemente fuori dal Paese? Mettetevi d’accordo, non vi siete parlati prima? Quindi ammettete la pericolosità, ma preferite liberarlo. La settimana in cui voi non siete venuti per l’informativa, sono venute le vittime a raccontare gli abusi. Oggi vi nascondete dietro i cavilli e il giuridichese: ma qui non si tratta di un difetto formale, ma di una scelta politica. Chi ha deciso? Colei che grida ogni due per tre di essere contro i poteri forti? Che Paese vogliamo essere? Dalla parte dei torturati o dei torturatori?», conclude Schlein chiedendo che sia Meloni a riferire. Poi una stoccata a Donzelli che aveva criticato il tesoriere Pd disonesto:  «Proponete leggi per trasformare la vostra immunità in impunità. La differenza è che noi abbiamo rimosso e sospeso il tesoriere, mentre voi avete una ministra rinviata a giudizio per truffa allo Stato e Meloni non riesce a farla dimettere».

Alla fine dell’intervento della segretaria del Pd Elly Schlein nell’Aula della Camera, dopo l’informativa sul caso Almasri, i deputati dem hanno esposto cartelli (entrambi con silhouette di conigli) con scritto «Meloni dove sei?» e «Meloni la patriota in fuga». Durante il suo intervento Schlein aveva puntato il dito contro la premier Giorgia Meloni «presidente del coniglio». Il presidente Lorenzo Fontana ha fatto prontamente rimuovere i cartelli.
«Grazie al governo per aver difeso la sicurezza nazionale, perché di questo si parla. Da cittadino italiano sono contento che dopo la scarcerazione di Almasri lui non sia libero in Italia ma sia in Libia». Lo ha detto in Aula della Camera Giovanni Donzelli di FdI, dopo l’informativa del governo
A Piantedosi è apparso chiaro che dopo la scarcerazione c’era il rischio che Almasri potesse rimanere libero in Italia: è per questo che il ministro ha deciso di espellerlo. «La scelta delle modalità di rimpatrio – in linea con quanto avvenuto in numerosi analoghi casi anche in anni precedenti e con governi diversi dall’attuale – è andata di pari passo con la valutazione effettuata per l’espulsione di Almasri. In buona sostanza, si è reso necessario agire rapidamente proprio per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato, soprattutto con riguardo a valutazioni concernenti la sicurezza dei cittadini italiani e degli interessi del nostro Paese all’estero, in scenari di rilevante valore strategico ma, al contempo, di enormi complessità e delicatezza», ha ribadito il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nella sua informativa alla Camera sul caso Almasri. 
Risale al 10 luglio dell’anno scorso l’inserimento della Corte di una nota diretta solo alla Germania e non visibile ad altri Paesi: questa nota era finalizzata alla raccolta discreta di informazioni e contatti di Almasri, con richiesta per le forze dell’ordine tedesche di non arrestarlo, perché aveva lo status di testimone. La Corte penale internazionale ha diffuso questa nota a gennaio ad altri Paesi, ma non all’Italia. È solo nella notte tra sabato e domenica del 18 gennaio, che la nota blu, che richiedeva esplicitamente di non arrestare Almasri, veniva trasformata in rossa, sottolinea Piantedosi: alle 2.33 del 19 gennaio il segretario generale di Interpol validava il mandato di arresto della Cpi. Che poi veniva eseguito dalla Digos di Torino. 
Almasri non è mai stato un interlocutore del governo per contrastare il fenomeno migratorio, dice Piantedosi aprendo il suo intervento. «Smentisco, nella maniera più categorica, che, nelle ore in cui è stata gestita la vicenda, il Governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere, anche solo lontanamente, considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque, come è stato adombrato in alcuni momenti del dibattito pubblico sviluppatosi in questi giorni. Al contrario, ogni decisione è stata assunta, come sempre, solo in base a valutazioni compiute su fatti e situazioni (anche in chiave prognostica) nell’esclusiva prospettiva della tutela di interessi del nostro Paese.  Lo scorso 2 ottobre il Procuratore internazionale ha emesso un mandato nei confronti di Almasri, la Corte penale ha emesso un mandato il 18 gennaio, quando si trovava in territorio italiano. «Prima di giungere in Italia, Almasri è transitato in diversi Paesi europei, dove risulta essersi recato abitualmente anche in passato, come attestano i documenti di viaggio in suo possesso, tra i quali un passaporto della Repubblica della Dominica che riporta, tra l`altro, un visto per gli Stati Uniti con validità di 10 anni a partire dal novembre scorso», ha sottolineato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nell’informativa sul caso Almasri alla Camera. Mentre si trovava in Germania, ha precisato Piantedosi, Almasri viaggiava su un’autovettura che «è stata sottoposta a controllo da parte della polizia tedesca; controllo durante il quale Almasri ha mostrato, tra l’altro, un biglietto ferroviario a suo nome da Londra a Bruxelles datato 13 gennaio e all’esito del quale la polizia tedesca non ha adottato alcun provvedimento». 
«Alla luce di queste considerazioni squisitamente giuridiche, qualsiasi mia iniziativa avrebbe dimostrato una carenza di attenzione nell’aver rilevato queste gravissime anomalie, che poi sono state rilevate dalla stessa Corte: è stata la Corte che si è corretta, e ha cercato di cambiarli cinque giorni dopo perché aveva fatto un enorme pasticcio: le ragioni di questo pasticcio frettoloso poi saranno chiarite, ma è mia intenzione attivare i miei poteri per chiedere giustificazione circa le incongruenze», spiega Nordio. «Se non ce ne fossimo accorti e l’avessimo inviata alla Corte d’appello italiana ce l’avrebbe mandata indietro dicendo che quel mandato di arresto era completamente contraddittorio». 

«Capisco e rispetto le ragioni dell’opposizione che esercita il suo dovere, anche in modo così aggressivo, capisco anche la stampa, che però ha diffuso notizie in parte sbagliate, ma mi ha deluso l’atteggiamento di una parte della magistratura, che ha giudicato l’operato del ministro senza aver letto le carte. Cosa che non può essere perdonata a chi per mestiere le carte dovrebbe leggerle: il dialogo che ci viene suggerito in questo modo, con questo atteggiamento sciatto, diventa molto più difficile. Andremo avanti fino in fondo, fino alla riforma finale, perché questo loro atteggiamento ha compattato la maggioranza». 
La Corte si riunisce cinque giorni dopo per dire che il mandato di arresto era sbagliata perché non conteneva le date esatte del reato commesso. Il fatto che sia contraddittorio il mandato di arresto ce lo dice la stessa Corte perché si è riunita nuovamente per chiarire quegli aspetti, dice Nordio. La dissenting opinion della giudice aveva segnalato questo aspetto, dicendo che la Corte non aveva giurisdizione per fare quello che aveva fatto. Secondo la giudice, sembrava che ci fosse stata addirittura una forzatura nell’emettere il provvedimento. 
Nordio ricostruisce il ruolo del ministero della Giustizia per difendere il suo operato. L’articolo 2 prevede che i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Cpi siano curati dal ministero della Giustizia: il ministro, ove ritenga e ne ritenga la necessità, concorda la propria azione con altri ministri, altre istituzioni o altri organi dello Stato. Al ministro compete altresì di presentare alla Corte atti e richieste. Quindi, dice Nordio, il ministero non è un passacarte, ma un organo politico che deve meditare il contenuto di queste richieste, in funzione dei contatti con altri organi dello Stato. Tanto più la richiesta è complessa, tanto maggiore deve essere la riflessione,a nche critica, sul suo procedere logico, sulla sua coerenza delle conclusioni cui perviene. Come vedremo, questa coerenza manca e quell’atto è nullo. Mentre il ministero procedeva all’esame della richiesta, la Corte di Appello di Roma ordinava la scarcerazione aderendo alla richiesta difensiva di cui il ministero non poteva e non doveva essere a conoscenza. Fin dalla prima lettura, peraltro in lingua inglese (l’atto è arrivato in inglese senza essere tradotto), ho notato tutta una serie di criticità sulle richieste di arresto. In questo mandato di arresto si oscillava dal 2011 al 2015, non una cosa di poco conto trattandosi di reato continuato e visto che in quei 4 anni sarebbero stati commessi diversi atti di stupro, torture, aggressione, violenza, etc. La Corte penale segnalava anche che la terza giudice si era espressa in disaccordo coi colleghi perché riteneva che i crimini presunti non fossero chiaramente collegati alla richiesta della Corte. Il provvedimento della Cpi segnalava che avrebbe allegato il parere contrario, che però non era arrivato. Il mandato di arresto internazionale spiccato per Almasri era caratterizzato da «un’incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi continuava a fare riferimento ad atti compiuti tra il 2015 e il 2024: questi concetti venivano ribaditi in una sessantina di paragrafi, in cui c’era tutta la sequenza di crimini orribili addebitati al catturando. Con una contraddizione, le conclusioni risultavano completamente differenti sia rispetto alle conclusioni dell’accusa che alla parte emotiva». 
Nordio parte con una breve ricostruzione dei fatti: il 18 gennaio la Corte penale internazionale emetteva un mandato di arresto internazionale, che veniva eseguito dalla Digos di Torino il giorno dopo, la notizia informale veniva trasmessa lo stesso giorno, domenica 19 gennaio, da un funzionario Inrterpol: poche righe, prive di dati identificativi e del provvedimento, oltre che delle ragioni sottese. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione. Il 20 gennaio alle ore 12:40 il procuratore generale di Roma trasmetteva il carteggio a questo ministro: ufficialmente è arrivato al Ministero protocollato il 20 gennaio alle ore 12:40. Successivamente alle ore 13:57 l’ambasciatore dell’Aja trasmetteva al servizio Affari internazionali del ministero del Dipartimento per gli affari di giustizia la richiesta di arresto provvisorio del 18 gennaio 2025. Conviene sinora notare che la comunicazione della Questura di Torino era pervenuta al Ministero ad arresto già effettuato e dunque senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla CPI al ministro».  Il 22 gennaio arrivava al gabinetto del ministro il provvedimento di scarcerazione della Corte d’Appello, datata il 21 gennaio su istanza del difensore. Il 28 gennaio è stata consegnata a Nordio, ricorda il ministro, una documentazione dove si evince che Carlo Nordio è indagato per i reati di favoreggiamento e abuso d’atti di ufficio. Questa notifica ha determinato un momento di riflessione: in ossequio alla indipendenza della magistratura, che come posizione di indagato, presentarsi il giorno dopo senza aver interloquito con chi di dovere mi sembrava un atto anomalo, ma ora eccomi qua. Su questa vicenda ci sono state tantissime inesattezze, precisa il ministro. 
Alle 12.18 si apre la seduta. Un saluto va agli studenti che seguono i lavori dalle tribune. L’oggetto è la richiesta di arresto ed espulsione di Almasri.  
Pienone alla Camera in vista dell’informativa dei ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio sulla vicenda Almasri. A breve inizierà la seduta dell’Aula e in Transatlantico c’è la massiccia presenza di deputati, ma anche diversi senatori. Si attende il pienone anche tra i banchi del governo, mentre per gli interventi sono previsti i big: per FdI il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli, mentre Pd e M5s schierano i rispettivi leader, Elly Schlein e Giuseppe Conte.
«Per tradurre 40 pagine serve tempo». È quanto afferma il vicepremier e ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani, fuori da Montecitorio, intercettato dai cronisti, parlando della liberazione del generale libico Almasri. «Quando si devono fare delle scelte sulla base di un documento, soprattutto con dei termini giuridici, ci devono essere traduzioni perfette perchè – spiega il ministro – abbiamo sistemi giuridici diversi». Il titolare della Farnesina aggiunge: «Non si tratta della traduzione di un giornale, l’inglese lo sappiamo tutti, ma questi sono traduzioni complicate». 
Da una parte, la presidente del Consiglio avrebbe potuto apporre il segreto di Stato, il che avrebbe scongiurato anche qualsiasi inchiesta. Prendendosi la responsabilità politica della scelta, avrebbe potuto sottolineare le anologie tra il caso Almasri e quello Abedini, l’iraniano scambiato con Cecilia Sala: lì si trattava di salvare la giornalista, qui di tutelare gli italiani presenti in Libia – tra cui 100 soldati – ed evitare ritorsioni sotto forma di ondate migratorie di migranti.

Quanto alle opposizioni, gli attacchi di Giuseppe Conte stridono col fatto che fu il suo secondo governo a confermare il memorandum con la Libia – poi rinnovato da Meloni – che di fatto è alla base della liberazione di Almasri. Un accordo sottoscritto nel 2017 dall’allora ministro pd Marco Minniti, e che si fonda sulla stretta collaborazione dell’Italia con la Guardia costiera libica, accusata dalle agenzie Onu di ripetute violazioni dei diritti umani nella gestione dei migranti. La politica di Minniti è oggi sconfessata dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Ma in un’intervista a Goffredo Buccini, Minniti ha spiegato come la Libia sia una questione permanente di sicurezza nazionale, e che il governo avrebbe dovuto chiarire in questi termini il caso Almasri. Sottinteso (anche se Minniti evita di dirlo): la necessità dell’accordo con la Libia è un peso di cui dovrebbero farsi carico anche le attuali opposizioni. Soprattutto se hanno governato (e se vogliono governare di nuovo). 
Perché la premier non vuole cedere alla richiesta delle opposizioni di spiegare in prima persona come sono andate le cose. Lo fa per confermare la tesi di una scarcerazione «tecnica». E intanto preferisce attaccare il Pd per l’inchiesta di Salerno – sull’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – che ha portato all’arresto del tesoriere campano del partito. «Un sistema speculava sull’immigrazione, sfruttando cittadini stranieri disposti a pagare pur di ottenere un permesso di soggiorno», ha detto ieri Meloni.
Oltre ai contatti avuti in quei giorni con la Cpi, spiega Giovanni, il ministro dovrà affrontare «il nocciolo della questione», e cioè «la mancata risposta alla Procura generale di Roma, che aveva chiesto al Guardasigilli che cosa intendesse fare con il detenuto arrestato “irritualmente” – secondo l’interpretazione dei magistrati romani – dalla polizia». La richiesta era arrivata infatti il 20 gennaio, giorno successivo all’arresto: ufficialmente la valutazione del ministro era ancora in corso nel pomeriggio, ma al mattino era già decollato da Roma per Torino l’aereo che avrebbe riportato in Libia Almasri. Prova che la decisione era stata già presa.
Perché quella di non consegnare il libico alla Corte penale internazionale e di farlo tornare in libertà è stata in realtà una decisione politica del governo. Giovanni Bianconi lo ha spiegato fin dal primo giorno e torna a chiarire il punto: «Le spiegazioni e le mezze risposte arrivate finora da governo e maggioranza sulla liberazione di Almasri hanno sempre chiamato in causa i magistrati. Quelli dell’Aia, per come hanno trasmesso gli atti alle autorità italiane, e quelli della Corte d’appello di Roma, che hanno scarcerato il generale arrestato 48 ore prima dalla Digos di Torino. Poco o nulla è stato detto – dalla premier in giù, né dal diretto interessato – sul ruolo giocato dal ministro della Giustizia».
(di Gianluca Mercuri) Il Guardasigilli Carlo Nordio e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi parleranno alle 12,15 alla Camera e alle 15,30 al Senato. Il loro intervento era previsto la scorsa settimana, ma è saltato dopo la clamorosa indagine nei confronti loro, della premier e di Mantovano aperta dal procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, con l’ipotesi di favoreggiamento e peculato, per la scarcerazione di Almasri e il suo trasferimento a Tripoli su un aereo dei servizi segreti.

​C’è molta attesa per capire se Nordio e Piantedosi continueranno a sostenere la tesi che Almasri sia stato scarcerato per decisione dei giudici e che il governo lo abbia ricondotto in Libia in quanto «pericoloso». Non sarà semplice.

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5 febbraio, 10:47 – Aggiornata il 5 febbraio, 14:12
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Di NewsBot