Ogni giorno la sua pena. All’indomani dell’informativa dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sul caso Alsmari, il governo si trova a fare i conti con una nuova grana. O meglio due, perché oltre al nuovo scontro con la Corte penale internazionale sul torturatore tripolino rispedito in Libia, a preoccupare Palazzo Chigi arrivano anche la ultime rivelazioni sulla vicenda di giornalisti e attivisti spiati su WhatsApp. Con il britannico Guardian che torna sul caso, rivelando che la Paragon Solutions ha rescisso il contratto con l'Italia per violazione dei termini di servizio e del quadro etico concordati nel contratto. Ma procediamo per gradi. Partendo dalla nuova miccia esplosa dopo che l’Avvenire ha diffuso la notizia di un fascicolo della Corte dell’Aia contro l’Italia. Nel mirino, scrive il giornale cattolico, la premier Giorgia Meloni e i due ministri Nordio e Piantedosi. A Palazzo Chigi, dove la presidente del Consiglio è al lavoro, saltano sulle sedie. Tuonano il vicepremier Antonio Tajani e il Guardasigilli: difendono a spada tratta l’operato del governo gettando ombre sulla Cpi. Intanto inizia un giro febbrile di chiamate tra Viminale, via Arenula e sede del governo. Il telefono squilla anche all’Aia. Fino a giungere alla conclusione che nessuna comunicazione dei magistrati della Corte penale è piombata sulle scrivanie dei vertici del governo italiano. La notizia è nata dall’esposto di un cittadino sudanese, vittima assieme alla moglie delle torture del comandante libico. Ma «non esiste ad oggi nessun procedimento aperto contro l'Italia dalla Corte penale internazionale», puntualizza Palazzo Chigi. E conferma la Cpi. Eppure tra le file della maggioranza c’è il timore che l’esposto della vittima di Alsmari non sia l’unico e che prima o poi un fascicolo raggiunga Roma. Insomma, che la storia non si chiuda qui, nonostante il governo confidasse di metterci una pietra sopra con l’informativa di mercoledì nelle aule di Camera e Senato.

L’ERRORE A MONTE

In questi giorni difficili per il governo si rafforza la convinzione che l’affaire libico sia stato gestito male a monte: «Bisognava apporre il segreto di Stato e chiuderla sul nascere». Evitando che si trasformasse in una slavina. Non solo. A via Arenula, dove la settimana prossima Nordio comincerà a buttare giù le controdeduzioni da inviare all’Aia, si fa largo il sospetto che dietro la fuga di notizie sull’esposto della vittima di Asmari si celi un fallo di reazione. Ovvero che la “soffiata” nasconda la volontà di colpire il governo italiano, che mercoledì, con il Guardasigilli, ha picchiato duro contro i magistrati dell’Aia. C’è chi tenta di gettare acqua sul fuoco, assicurando che la lettera che Nordio invierà alla Cpi non sarà un nuovo guanto di sfida, ma una semplice richiesta di spiegazioni – estremamente tecnica – sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto del generale libico.

IL CASO SPYWARE

Ma a preoccupare i piani alti di Palazzo Chigi è anche la spyware che vede coinvolti – dunque hackerati – almeno sette italiani, tra questi Luca Casarini, tra i fondatori di Mediterranea saving humans, e il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Bocche cucite nel governo: non arriva nemmeno la conferma che, come sostenuto dal Guardian, Paragon Solutions, l'azienda che produce lo spyware Graphite, abbia rescisso il contratto con l’esecutivo italiano: «Quello che abbiamo da dire lo diremo al Copasir», il comitato parlamentare di controllo dell’Intelligence, dove ogni soffio è secretato. Ma c’è chi nel partito della presidente del Consiglio unisce i puntini, mettendo in fila gli eventi degli ultimi mesi, con i servizi segreti sotto i riflettori, esattamente dove non dovrebbero essere. «C’è una lotta intestina che si sta riverberando su tutto e che Giorgia ha cercato di fermare. È partita dalle seconde file e rischia di fare danni enormi, più di quanti non ne abbia già fatti…».
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Di NewsBot