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Buona parte dei fondi Usaid sospesi erano diretti verso l’Africa: la mossa di Washington va in direzione opposta al Piano Mattei
Distribuzione di cibo nel Tigray, in Etiopia
Novanta giorni: un soffio, un’eternità. Potrebbero non bastare ai funzionari Usa che devono passare al setaccio migliaia e migliaia di programmi umanitari per decidere quali eliminare e quali salvare perché in linea con l’America First, utili a rendere gli Stati Uniti «più sicuri, più forti e più prosperi».
Tre mesi infiniti, forse fatali per milioni di persone nel mondo la cui vita quotidiana è appesa a quegli aiuti. Novanta giorni è la durata della sospensione dei programmi di assistenza all’estero finanziati dal governo americano attraverso Usaid, l’agenzia federale per lo sviluppo internazionale istituita 60 anni fa dal Congresso e che in teoria, per legge, solo il Congresso potrebbe sciogliere.
Invece in soli 10 giorni l’amministrazione Trump, su spinta di Elon Musk, l’ha smantellata come agenzia indipendente: martedì scorso , il segretario di Stato Marco Rubio ha messo in congedo gran parte del personale (la misura scatterà domani) e annunciato che sarà lui stesso a guidarla ad interim. Se venisse assorbita con successo dal dipartimento di Stato, l’agenzia potrebbe continuare in una forma ridotta, oppure essere completamente svuotata.
La sospensione dei fondi è stata decisa con uno dei primi ordini esecutivi firmato da Donald Trump, appena insediatosi alla Casa Bianca. Quattro giorni dopo Rubio ne ha bloccato le operazioni. Uno stop di tre mesi per una gigantesca «spending review» del più grande donatore umanitario al mondo: con i suoi 40 miliardi di dollari di spesa annuale (meno dell’1 per cento del bilancio degli Stati Uniti) finanzia il 42% della cooperazione globale.
L’impatto della revoca immediata di buona parte dell’infrastruttura alimentare e sanitaria mondiale ha iniziato a farsi sentire subito. Anche se in Italia non tutti lo ammettono: molti non si sbilanciano per paura di perdere definitivamente i fondi. Sono in un limbo, con il timore di non passare l’esame.
Grande l’incertezza sul futuro, ma anche sul presente. La scorsa settimana, Rubio ha emesso una direttiva con la deroga per alcuni tipi di interventi «salvavita», ma per diverse organizzazioni non profit i termini non sono chiari. Nel dubbio, molte iniziative si sono già bloccate. «Faccio questo lavoro da trent’anni. E’ capitato che un progetto si sia fermato. Ma non è mai successo un blocco generalizzato, una paralisi di queste proporzioni che impatta su oltre 300 milioni di esseri umani», osserva Kostas Moschochoritis direttore generale di Intersos, organizzazione con sede a Roma, impegnata in situazioni di crisi in particolare tra Africa, Medio Oriente e Asia centrale. «Da Usaid abbiamo ricevuto, finora, due messaggi: il primo, il 24 gennaio, ci comunicava la sospensione del nostro progetto in Libano con i rifugiati siriani. Il secondo è arrivato venerdì 31 gennaio, e ci informava che uno dei nostri progetti in Nigeria veniva ridimensionato: possiamo continuare soltanto con le attività salvavita, in linea con la direttiva firmata dal Segretario di Stato Rubio. Ma di questa attività abbiamo solo definizioni generiche, che sta a noi interpretare. Possiamo distribuire acqua ma non insegnare come usarla per l’igiene? Nel dubbio abbiamo fermato completamente le attività di sensibilizzazione sulla prevenzione di malattie e di istruzione».
Intersos copriva con i fondi Usaid il 17% per cento del budget, aiuti per circa 500mila persone. «Ma poi riceviamo contributi indiretti, attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, anche loro ora colpite dal blocco, e su questo non siamo ancora in grado di quantificare l’impatto».
In forse, prosegue Moschochoritis, il destino di altri progetti in altri Paesi: un altro in Nigeria, nello stato del Borno, epicentro del conflitto con i gruppi armati di matrice jihadista, dove supportano 100 mila persone tra sfollati e locali. Gli altri due in Burkina Faso e Repubblica Centrafricana, sempre a sostegno degli sfollati in fuga da miliziani e conflitti.
Il sistema della cooperazione era già in difficoltà in un mondo sempre più instabile: con la diplomazia che fatica a esercitare il suo potere di mediazione e le guerre che continuano ad aumentare, fermare chi tenta di ammortizzarne le ricadute disastrose sui civili appare un autogol. Buona parte dei fondi congelati sono infatti diretti verso l’Africa: ora questa interruzione rischia di mettere a repentaglio il lavoro portato avanti da decenni dagli operatori umanitari per stabilizzare i flussi migratori e supportare i Paesi fragili che ospitano rifugiati (finora la maggior parte dei migranti africani si è sempre spostata all’interno del continente). Lo ha detto chiaramente Filippo Grandi, l’Alto commissario Onu per i rifugiati: sono a rischio tutte le attività dell’Unhcr di sostegno ai Paesi fragili che ospitano i richiedenti asilo, i progetti per integrare i rifugiati, le attività educative per i minori, gli aiuti in forma di denaro contante che permettono agli sfollati di soddisfare i propri bisogni in modo dignitoso e di contribuire all’economia locale.
Questo stop sembra tra l’altro andare nella direzione opposta al piano Mattei, identificato come pilastro della politica estera italiana. Nel mondo della cooperazione italiana, molti si augurano che la premier Meloni, forte del suo rapporto privilegiato con Trump, si posizioni come mediatrice e abbia voce per fare tornare l’amministrazione Usa sui suoi passi.
In allerta anche Fondazione Avsi. «Non dipendiamo del tutto da questi fondi, ma temiamo contraccolpi sui nostri progetti ad Haiti e in Uganda» dicono dalla sede di Milano. Proprio in Uganda una nuova epidemia di Ebola sta cominciando a mietere vittime. Molti americani ricorderanno quando nel 2014, l’Ebola dall’Africa occidentale arrivò fino agli Stati Uniti. Tra i diciassette i Paesi, per lo più nell’Africa subsahariana, che hanno ricevuto più di 100 milioni di dollari ciascuno in aiuti sanitari dagli Stati Uniti nel 2023, il più colpito dal cambiamento di rotta statunitense sarà la Tanzania, attualmente alle prese con un’epidemia del virus Marburg, simile all’Ebola, seguita da Nigeria, Sudafrica e Uganda.
Dall’Aoi, una delle più grandi reti italiane di ong per la cooperazione internazionale (sono oltre 500, tra cui Emergency, Oxfam e Terre des Hommes), arriva la prima stima dei danni: «Da un nostro monitoraggio interno, è emerso finora un blocco di oltre 10 milioni di fondi per 10-12 organizzazioni» dice al Corriere Silvia Stilli, presidente dell’Aoi, che ieri ha riferito in un’audizione alla Commissione Esteri della Camera. «Molte nostre associazioni sono toccate dallo stop dei fondi americani perché gestiscono progetti dell’Unicef e dell’Oms che sono stati bloccati in questi giorni. Parliamo di interventi sospesi in Paesi come Iraq, Siria e Libano». Significa che milioni di bambini e loro famiglie in fuga da fame e conflitti hanno perso assistenza sanitaria e cibo.
La guerra da tre anni è anche dentro l’Europa. E tra i finanziamenti sospesi, c’è quello attivato l’anno scorso tra Usaid e la Comunità di Sant’Egidio per la distribuzione di cibo e medicine in Ucraina. «Ci è arrivata la comunicazione ufficiale dall’amministrazione Usa, ci hanno avvisato che non dobbiamo impegnarci in nuove spese finché il processo di valutazione non arriverà a conclusione, entro 90 giorni» racconta Mauro Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali del movimento. E pensare che questa collaborazione con il gigante della cooperazione internazionale americana è iniziata proprio nel 2019 con il tycoon alla Casa Bianca. «Ero andato a Washington a firmare il protocollo d’intesa sotto la prima amministrazione Trump. Ma ora tira un’aria diversa, c’è la volontà di marcare la differenza rispetto al passato. Vedremo fino a che punto spingeranno questa stretta sulle “spese inutili”. C’è stato un terremoto, vedremo come si assesterà. Preservo un cauto ottimismo. Intanto affrontiamo questi mesi stringendo la cinghia e cercando altri finanziamenti».
I programmi Usaid supportano anche i media indipendenti in oltre 30 Paesi: il budget per gli aiuti esteri del 2025 includeva 268.376.000 dollari per sostenere «i media indipendenti e il libero flusso di informazioni». Tra loro molti temono che questa sospensione si prolunghi oltre i 90 giorni o che, peggio ancora, questi fondi possano essere tagliati per sempre. Sospendendo bruscamente gli aiuti, gli Stati Uniti hanno reso vulnerabili molte testate giornalistiche indipendenti, infliggendo un duro colpo alla libertà di stampa soprattutto in Paesi dove la democrazia è sotto attacco se non inesistente, a iniziare dal fianco Est dell’Europa, bersaglio privilegiato della propaganda russa. «Abbiamo articoli programmati fino alla fine di gennaio, ma dopo, se non avremo trovato soluzioni, non potremo più pubblicare», ha riferito una giornalista di un media bielorusso in esilio che preferisce rimanere anonima. Non un mero effetto collaterale, come evidenzia Alessia Cerantola, direttrice di Investigate Europe, già coordinatrice di Occrp (Organized Crime and Corruption Reporting Project), piattaforma no profit di giornalismo investigativo finanziata per il 40% da Usaid. «Elon Musk sta utilizzando una nostra inchiesta del 2019 per attaccare la libera stampa e gli aiuti umanitari degli Stati Uniti» ha postato Occrp in risposta a un tweet di Musk. Un messaggio condiviso ieri da Cerantola. «I tagli Usaid danno uno scossone forte al mondo del giornalismo indipendente – ci dice la giornalista premio Pulitzer per il suo contributo ai Panama Papers –. Avranno un contraccolpo anche per chi come noi non beneficia di questi fondi, perché provocherà una corsa ancora più serrata alle poche fondazioni donatrici, scatenerà una forte competizione tra i media».
Ma alcune organizzazioni si stanno muovendo per aiutare i propri soci. Ad esempio, l’Ipi (International Press Institute), una rete globale di direttori e giornalisti di spicco a supporto del giornalismo indipendente di cui Cerantola fa parte ha invitato i soci colpiti dai tagli a mettersi in contatto per pensare assieme a nuove strategie di finanziamento. Alcuni pensano anche ad azioni legali, visto che i fondi sono già stati assegnati per contratto.
6 febbraio 2025 ( modifica il 7 febbraio 2025 | 08:14)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le immagini delle telecamere di sorveglianza
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