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I servizi segreti denunciano il procuratore Lo Voi: «Ha svelato notizie riservate»
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Intervista all’imprenditrice e influencer. Le inchieste, le polemiche, il rapporto con Fedez: «La priorità è difendere la mia famiglia. Ho avuto un successo più grande dei sogni che avevo. Ora mi sento fragile però faccio fatica a raccontarlo»
Il giorno in cui Chiara Ferragni arriva sorridente all’appuntamento per la nostra intervista ha al dito la fede e, nel cuore, sembra avere la speranza che il suo matrimonio regga all’onda d’urto dei problemi degli ultimi due mesi. Quel giorno, le chiediamo: Portofino, Champoluc, Courmayeur… Perché ha passato gli ultimi weekend senza suo marito? Perché lui non le è vicino proprio in queste settimane difficili? Chiara, per un attimo, guarda la punta delle scarpe. Dice: «Lui in tanti weekend non c’è stato. In altri, c’è stato». Quindi, di nuovo, è a testa alta: «Comunque, è mio marito. E secondo me, in certe situazioni di caos esterno, le altre cose è meglio tenerle dentro la coppia». Noi: che intende esattamente per «altre cose»? Lei: «Che la priorità è proteggere la famiglia e i figli. Poi, naturalmente, qualunque cosa io faccia, se ne parla: se la faccio con lui o se la faccio senza di lui e chiunque nel mondo può dire la sua e avere le sue opinioni, ma per me, piuttosto che dare spiegazioni, è più importante fare quello che reputo più giusto: tenere i problemi tra le mura familiari».
Era martedì 20 febbraio. La crisi c’era, intuibile, evidente. Ma di una famigerata, presunta uscita di casa di Fedez, ancora non si sapeva e Chiara, anche se in lei si leggeva la sofferenza, era riuscita a non farlo capire.
Non era per parlare del suo matrimonio che nasceva il nostro incontro e, ieri come oggi, Chiara non vuole aggiungere altro sull’argomento. D’altra parte, c’era stato un momento nel corso dell’intervista in cui aveva confessato, in un soffio: «Io, a volte, faccio fatica a mostrare le mie fragilità nel momento in cui le sto vivendo». Silenzio.
Silenzio. Pausa. «Faccio fatica perché, se raccontassi quanto mi sento fragile (qui le parole dell’imprenditrice, intercettata lunedì fuori dallo studio della sua psicologa), mi percepirei ancora più debole, ancora più attaccabile». Oggi, oggi col senno di poi, dev’essere una di quelle volte in cui trovare le parole acuirebbe solo il dolore. La conversazione era partita da una data spartiacque, il 15 dicembre scorso, quando l’Antitrust comunica di aver sanzionato due società di Chiara e la Balocco per «una pratica commerciale scorretta», per aver pubblicizzato il pandoro griffato Ferragni lasciando intendere ai consumatori che, comprandolo, avrebbero contribuito a una donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino.
Chiara, che cosa ricorda di quel 15 dicembre?
«Che erano le otto del mattino, ero in piedi, stavo andando su un set fotografico e né io né i miei collaboratori ci aspettavamo nulla del genere. Sono rimasta completamente scioccata. Anche perché ho saputo la notizia dalle agenzie, contemporaneamente a tutti gli italiani. Era venerdì, ho passato anche sabato e domenica chiusa in casa, con addosso la stessa tuta, a leggere i tweet terribili su di me e dire: cosa cavolo sta succedendo?».
La tuta è quella che indossava nel famoso video di scuse del 18 dicembre, criticata perché sembrava scelta per sottolineare con sapienza il suo pentimento, sebbene costasse 600 euro?
«Ero vestita ancora così quando ho pensato che dovevo fare un video e dimostrare la buona fede mia e delle persone che lavorano con me. Da tre giorni, leggevo cose completamente false, tipo che avevo truffato i consumatori e perfino i bambini malati. Ero veramente scossa e dopo varie prove ho postato il video e facevo del mio meglio per trattenere le lacrime perché non volevo fare la vittima. Mi sono detta: la gente si aspetta qualcosa da me. Dovevo scusarmi, perché, se ci sono stati dei fraintendimenti, vuol dire che qualcosa poteva essere fatto meglio. Ho detto anche che non avrei fatto mai più operazioni che mischiassero pubblicità e beneficenza. Poi ho pensato: faccio un gesto concreto. Le persone credono che mi sia arricchita cercando di imbrogliarle? Bene, il milione di euro ricevuto dalle mie società lo dono al Regina Margherita di Torino e farò ricorso al Tar contro una sanzione che ritengo ingiusta e sproporzionata, ovviamente la pago e, se qualcosa otterrò indietro, donerò anche quello».
Perché, a suo avviso, quel video non ha fermato l’ondata di odio e di scherno?
«Probabilmente perché non era il momento giusto, continuavano a uscire notizie contro di me. Forse avrei dovuto pensarci di più, aspettare, ma si stava mettendo in gioco tutto, si andava molto oltre i giudizi sull’operazione in sé, la strumentalizzazione era completa. E, quando sei dentro una gogna mediatica, ti sembra che tutte le persone ti stiano accusando, invece, basta uscire un attimo di casa per accorgerti che non è così. Da quando ho ripreso a uscire, non ho mai incontrato qualcuno che mi dicesse “sei una criminale”, ma solo persone che mi dicono: tutto questo è ingiusto, ne uscirai a testa alta».
Nel video, ammette «un errore di comunicazione». Sulle attività di beneficenza, cosa intende fare?
«Ci siamo resi conto che alcuni processi di analisi interna avrebbero potuto essere gestiti meglio. E stiamo lavorando per migliorare alcuni profili organizzativi. Ho sempre pensato che, se hai trenta milioni di follower, se fai beneficenza e ne parli, crei un effetto emulativo. Durante il Covid, io e Federico abbiamo donato 50 mila euro a testa, ma comunicandolo, il crowdfunding è risultato il più sostanzioso d’Europa raccogliendo quattro milioni e mezzo, grazie ai quali siamo riusciti a creare una terapia intensiva in un mese e mezzo. Ma non solo: seguendo il nostro esempio, altri hanno attivato operazioni simili per altri ospedali. Per questo, quando possibile, la mia ratio è stata che, nell’ambito di operazioni commerciali tra le mie società e un partner, fosse semplicemente una buona idea provare ad aggiungere una parte di beneficenza anche piccola rispetto al contratto. Ho sempre pensato che, fra niente e poco, era comunque del bene che veniva fatto».
Nel caso del pandoro, però, la beneficenza è stata fatta dalla Balocco, non dalle sue società.
«Vero, cosi come è vero che è stata una iniziativa mia e del mio team far inserire la donazione all’interno del contratto».
Allora perché, e anche su questo indaga la Procura di Milano, la donazione è stata fatta prima che partisse la campagna vendite?
«La donazione è stata fatta subito dopo la firma del contratto ed è stata fatta subito proprio perché l’importo di 50 mila euro era certo e slegato dalle vendite e poi perché speravamo che il macchinario arrivasse prima della messa in vendita del pandoro».
Si indaga anche perché, dal cartiglio sul pandoro e da come lei ha promosso l’iniziativa, sembrava che acquistando il prodotto si contribuisse a fare beneficenza.
«Nel cartiglio e nei miei post, però, abbiamo sempre scritto e detto che “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale…”, mai che una percentuale delle vendite sarebbe andata in beneficenza».
Una cosa che ha molto colpito l’opinione pubblica è la sproporzione tra il suo cachet, più di un milione, e la beneficenza, 50 mila euro.
«Parlare di cachet è improprio, perché quella cifra è il compenso dato alle mie società per i miei diritti di immagine, per la promozione e l’intera operazione. Non si deve far confusione tra la persona fisica Chiara Ferragni, il brand e le aziende. Inoltre, senza l’operazione, la donazione non sarebbe stata fatta».
Senza la beneficenza, le sue società avrebbero incassato di più?
«Probabilmente, un pochino sì. Ma l’importante era fare la donazione».
La procura dice che, nell’operato delle società, c’è stato un unico disegno criminoso tra più operazioni: Balocco, uova pasquali di Dolci Preziosi e bambola Trudi.
«Queste operazioni rappresentavano una percentuale esigua del nostro fatturato. Non comprendo come si possa dire che ci sia stato un disegno criminoso: perché, se così fosse, la maggior parte del fatturato dovrebbe dipendere da queste attività. E poi, sembra che io sia conosciuta per la beneficenza, ma ho fatto tantissime attività. Per fortuna con il nuovo Ddl beneficenza, o Ddl Ferragni (ride, ndr), tutto sarà molto più chiaro. Se ci fosse stato prima, avremmo scritto sul cartiglio “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale Regina Margherita con una donazione di 50 mila euro fatta da Balocco”. Nessuno avrebbe potuto dire niente e ci faceva onore comunque. Se c’è un effetto positivo di questa vicenda, è che ora abbiamo un Ddl beneficenza».
L’associazione americana Stomp out bullying ha sostenuto di non aver ricevuto donazioni legate alla bambola «Chiara Ferragni by Trudi». È così?
«La donazione è stata fatta e ho la documentazione che lo attesta. A tempo debito, chiarirò tutto a chi di dovere».
Qual è il suo ruolo operativo nelle società sanzionate dall’Antitrust per la vicenda del pandoro, Fenice Srl e Tbs Crew?
«In entrambe sono amministratrice delegata. In Tbs, anche presidente. Ho sempre cercato di sviluppare e far crescere i marchi legati al mio nome anche attraverso l’organizzazione e la partecipazione ad eventi. Poi ho particolare attenzione per l’area social media».
L’anno scorso avete avuto ricavi per 28 milioni di euro, un grande successo. Forse avete sottovalutato la dimensione raggiunta?
«Sicuramente. Non eravamo strutturati abbastanza. Siamo tutti giovani, principalmente sotto i 40 anni. Il mondo in cui opero è nato con noi e noi avevamo la presunzione molto naif di fare un lavoro che, prima, non esisteva e che ha raggiunto fatturati da media impresa. Forse non eravamo neanche mentalmente preparati. Ci piaceva che tanti ci dicessero “bravi” o “siete così smart”. Quella dell’Agcm è stata la prima bastonata, la prima volta che qualcuno ci ha detto con durezza e pubblicamente che avevamo fatto male qualcosa. La prima volta in cui ho detto: “cavolo, eravamo in buona fede, ma evidentemente potevamo fare meglio”. Io vedo i miei numeri, ho un’idea di quanto posso essere popolare, ma mi rendo conto di aver sottostimato tutto. Adesso, sono fiera dei miei ragazzi ma so che serve un rafforzamento della struttura con persone con più esperienza di me e di quelle che sempre in buona fede mi hanno aiutato fin qui. Serve anche, in certi momenti, essere più pronta a combattere e io non pensavo di doverlo mai fare».
Dice di essere vittima di una gogna mediatica, ma non le sembra ovvio che una persona famosa come lei finisca più di altri sotto la lente dei media?
«È stata dura. Per due mesi si è parlato di me come se fossi una criminale e incarnassi ogni male di questo Paese. Quando è scoppiato il caso, gli hater non hanno attaccato Balocco perché dicevano che ci sono gli operai e le famiglie, ma anche per le mie società lavorano 50 famiglie. Sono abituata a essere un personaggio divisivo, ad avere persone che mi supportano, ma anche hater. Fa parte del gioco, ma cercare ogni giorno una notizia negativa, anche falsa, per volere la mia disfatta, è stato eccessivo da sopportare anche per me. Poi ho l’impressione che faccia fare più clic dare enfasi a qualche hater piuttosto che alla maggioranza silenziosa che magari la pensa in altro modo».
Quando ha cominciato a realizzare che la situazione era più grave di quanto potesse preventivare?
«Dalla pronuncia dell’Authority, vedendo anche come si è deciso di renderla pubblica: con un comunicato in cui c’erano anche i compensi delle società».
Il centrodestra l’ha attaccata identificandola come progressista, bandiera di una sinistra glamour.
«Non sono dichiaratamente di una parte, non ho mai inteso fare politica. Semplicemente, mi sono sempre battuta per i diritti inalienabili delle persone, per le donne, per la comunità Lgbtq+, perché questo fa parte della mia storia e del mio modo di raccontare la realtà in cui vivo».
Oggi, cercando il suo nome su Google, molti risultati sono impietosi. Cerca mai il suo nome online?
«Purtroppo sì. L’ho sempre fatto e, adesso, lo faccio con maggiore frequenza e, quando escono nuove fake news, è molto difficile non rispondere subito. Cerco il mio nome perché vorrei il controllo su tutto e per avere il polso di quello che si dice su di me, anche se poi mi deprimo di più e mi sento meno forte di prima».
Il suo lavoro è un po’ fondato sull’effimero. In questo periodo, non le è venuta voglia di maggiore concretezza?
«Quello che faccio è molto concreto, altro che effimero. Ho un’azienda che produce e vende abbigliamento, calzature, make up, auricolari, gioielli. Non promuovo solo prodotti altrui. Sono diventata un riferimento sotto tanti punti di vista per tante persone che mi seguono da 14 anni, che sono cresciute con me, che hanno seguito tutte le fasi della mia vita e si sono ritrovate simili in tante cose, perché parlo tanto anche di me, di come mi sento, delle mie emozioni. Faccio post in cui si parla di quanto è bella la borsa e post in cui parlo dei diritti delle donne. Non penso di fare su Instagram un racconto così effimero».
Immagina un futuro diverso nella sua attività?
«Sono cambiate molte cose in questi due mesi, ma il futuro al momento è un punto interrogativo. Non so se il mio è un lavoro che farò per tutta la vita o se vorrò raccontare la mia vita per sempre. So che a me piace comunicare da sempre. A 16 anni, andavo in giro con il treppiedi, mi facevo l’autoscatto, volevo vedermi attraverso una macchina fotografica, darmi un significato, non so: capirmi. E non c’è mai stata l’idea di tenere quelle foto per me, ma sempre di condividerle col mondo e vedere cosa ne pensava nel bene e nel male».
Chiara Ferragni bambina a Cremona (Instagram)
Che altro c’è da raccontare su quella sedicenne?
«Ero una ragazzina cresciuta a Cremona, in un contesto di provincia, papà dentista, mamma che aveva lasciato un lavoro nella moda per seguire mia sorella che aveva problemi di salute. La provincia mi stava stretta, ho sempre cercato di non pormi dei limiti e sognato di fare qualcosa di più, per questo ho colto subito l’opportunità dei social. Poi, fino a qualche anno fa, dicevo: chi sa se questo sarà il mio futuro, se questo lavoro andrà avanti. Ma già allora ero una che faceva le cose cercando di dare sempre il massimo. Sono una che studia, si impegna. Quando ho fatto Sanremo, non ero mai stata in tv e ho preso lezioni con un coach di improvvisazione. Non prendo mai nulla sottogamba, poi che le cose risultino perfette o tremende è soggettivo».
Qual è il momento in cui Chiara Ferragni decolla?
«Ho iniziato nel 2009, ma tutto è esploso tra il 2013 e il 2016 quando vivevo a Los Angeles. In Italia, all’inizio ero vista come la blogger che non si sapeva bene cosa facesse. Poi, Harvard ha fatto un case study su di me, Forbes ha detto che ero l’influencer numero uno al mondo e l’Italia si è accorta di me. Nel 2017 sono tornata, e da allora ci sono stati gli anni di grossa crescita».
Qual è il momento preciso in cui si accorge che qualcosa di grande è successo?
«Quando ho fatto il primo red carpet a Cannes, a maggio 2011. Mi hanno dato un abito rosa principesco e dei gioielli e avevo un bodyguard che mi seguiva per proteggerli: questa cosa mi faceva specie, era la prima volta che avevo una guardia del corpo, anche se non era per me. Quando ho calcato il tappeto rosso, pensavo che nessuno mi conoscesse, invece tanti fotografi italiani hanno cominciato a chiamarmi “Chiara, Chiara” ed è stato stupendo. Ho detto wow, è così che si sentono le star, che figata!».
Ferragni sul red carpet di Cannes, nel maggio 2011 (Afp)
In questi due mesi complicati ha avuto paura che tutto questo potesse finire per sempre?
«Non è il primo momento in cui ho questa paura: la paura è costante. In un lavoro come il mio che è completamente nuovo, temi sempre che il trend possa cambiare e di non piacere più. Poi, per non interrogarmi sugli esiti negativi, ho fatto tanto lavoro su me stessa, mi hanno insegnato che bisogna vivere solo nel presente, non nel passato né nella paura del futuro. E mi dico che non posso piacere a tutti, ma che alle persone a cui piaccio, piaccio perché sono me stessa, faccio le cose che piacciono a me e, anche se ora vengo descritta come una “criminale”, cerco di ispirare le persone verso cose positive perché questo è il mio modo di comunicare. Io senza comunicare non riuscirei a vivere: mi piace lo scambio di opinioni, mi piacciono anche le critiche, se fatte in modo costruttivo. Ho cambiato tante cose di me, ascoltandole».
Ci dica una cosa che ha cambiato.
«Tante volte mi è stato detto che cercavo di essere troppo perfetta ed è vero: ho sempre l’idea di dare il massimo e non mostrare le fragilità. Negli anni, mi sono sforzata di manifestarle di più. Però, a volte, fatico a farlo nel momento in cui le sto vivendo, se no, mi sentirei troppo attaccabile e mi mostrerei troppo debole. Le persone, da fuori, vedono una vita perfetta: ho una famiglia, guadagno bene, faccio il lavoro dei miei sogni, viaggio eccetera. Io stessa, in primis, avevo la stessa idea delle grandi star, Da piccola, guardavo le modelle o le attrici e dicevo: wow, sono stupende, fanno la vita dei sogni, chissà come stanno bene con se stesse. Dopo, quando ho fatto campagne con top come Naomi Campbell, come Gisele Bündchen, mi sentivo sempre un po’ diversa, nonostante facessi cose simili a loro. Poi ti rendi conto che anche Naomi, anche le star che pensi si sentano le persone più fighe del pianeta hanno insicurezze che il successo non ti toglie. Quando succede a te, capisci che siamo tutti fragili, abbiamo tutti le nostre insicurezze, stiamo tutti anche male. Io sono ipergrata della mia vita, ma non sono perfetta e non voglio più neanche apparire tale».
Tuttavia, è più facile accettarsi in una penthouse che in un monolocale, in una Lamborghini che in un’utilitaria ?
«Ma sicuramente. Io sono una persona fortunata che ha creato una vita che va oltre i sogni che avevo da bambina. Poi, questo mi fa strano e ho sempre la paura che qualcosa possa succedere ma, allo stesso tempo, cerco di lavorare sodo affinché questo non avvenga».
Lei come si spiega un successo più grande dei sogni che aveva?
«Con una concatenazione di eventi e col fatto di seguire tanto il mio istinto. Poi, il successo c’è, è oggettivo, ma che io me lo meriti è una cosa soggettiva. Ci saranno tanti che pensano che non me lo meriti. Pazienza».
Sta ridendo. Lei pensa di meritarselo?
«Io penso di essere una brava persona e di dare il massimo in tutto quello che faccio».
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24 febbraio 2024 2024 ( modifica il 3 marzo 2024 2024 | 15:12)
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