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«Un momento storico». La lista delle «condizioni». Il dialogo in esclusiva con l’uomo più potente del mondo è esso stesso una dimostrazione di forza. L’invito a Mosca rivolto a Trump ne è l’ulteriore sigillo.
Sarà la pace di Putin. Due settimane fa, quando davvero si è cominciato a fare sul serio, le dichiarazioni televisive del presidente russo rilasciate a bordo di un’auto, con la consueta aria di finta casualità, erano la risposta all’uso dei social fatto da Donald Trump da parte di un uomo che riconosce senza problemi di non saper usare un computer, o quasi. Le frasi sulle elezioni rubate nel 2020 al magnate americano vennero prese da quasi tutti come un inchino russo alla nuova Casa Bianca. Ma pochi osservatori a diverso titolo bene informati, come l’oligarca Oleg Deripaska, nel febbraio del 2022 contrario alla guerra ma ben presto ritornato all’ovile, o Mikhail Rostovsky, l’editorialista del Moskovskij Komsomolets, molto stimato dal Cremlino, diedero una interpretazione opposta, azzardando curiosamente lo stesso paragone. Quella bizzarra dichiarazione era secondo loro l’equivalente del famoso messaggio radio di Nikita Kruscev a John Kennedy durante la crisi dei missili cubani. Un episodio che nei libri di storia russa viene citato come uno dei momenti più alti del potere sovietico.
Nell’interpretazione comune, quel dialogo a distanza simboleggiava due superpotenze che si temevano l’una con l’altra, e quindi si rispettavano, non lesinando le reciproche cortesie. «Faccia a faccia», titolava ieri un altro importante quotidiano, con i rispettivi profili dei due presidenti che si fissavano alla stessa altezza. Alla pari. Vladimir Putin ha già ottenuto il riconoscimento a cui forse teneva di più. Il dialogo in esclusiva con l’uomo più potente del mondo è esso stesso una dimostrazione di forza agli occhi del mondo. L’invito a Mosca rivolto a Trump ne è l’ulteriore sigillo.


La sensazione di una vittoria a prescindere non sta nell’avvio del negoziato, ma nel fatto che la Russia, dopo l’isolamento di questi anni, potrebbe scrivere un trattato di pace per la guerra da lei stessa scatenata. A riprova di un traguardo già ottenuto, i commenti alla telefonata tra Putin e Trump non menzionano neppure per una volta dettagli tecnici come i confini, a chi il Donbass, a chi il Kursk. Per quelli, si vedrà. «Un momento che entrerà nella storia della politica e della diplomazia internazionale» dice il senatore e già famoso anchorman televisivo Aleksey Pushkov, esperto di politica estera. 
«L’Ue e l’Ucraina sono terrificati dai contatti tra i due leader. Non è ancora uno sfondamento, ma è un primo passo in questa direzione». Il deputato della Duma Andrei Gurulev, membro della commissione Difesa da poco allontanato dalla televisione pubblica per dichiarazioni troppo dure persino in quel contesto, non sta nelle pelle. «Siamo all’inizio della creazione di un nuovo ordine mondiale. Per prima cosa affronteremo il problema di quel che rimarrà dell’Ucraina. I principali negoziatori in questo senso sono due, noi e gli Usa. Una terza parte non è necessaria». Molti media vedono nella perdurante assenza di Michael Kellogg una punizione per le troppe concessioni che l’ottantenne generale nominato inviato speciale per l’Ucraina era pronto a fare «nei confronti di Bruxelles e Kiev». 
Tutti mettono in risalto il fatto che sebbene Volodymyr Zelensky abbia chiesto più volte a Trump di parlare prima con lui e in un secondo momento con Putin, il presidente Usa ha fatto il contrario. E così via. Nella visione di Putin, durante questi tre anni di Operazione militare speciale, l’Ucraina è diventato un tassello di un gioco più grande. Ma è anche un tasto dolente sul quale non può transigere. Troppi morti, troppo grande l’azzardo novecentesco compiuto con l’avvio dell’Operazione militare speciale. Al Cremlino sono pronti a ripartire dal testo inviato nel novembre del 2021 alla Casa Bianca, che stava tentando di scongiurare l’invasione di un Paese sovrano.

Adesso esiste la sensazione che si possa arrivare a una «pace giusta» per Mosca. La lista dei punti non negoziabili però si è allungata: nelle parole del presidente russo, che non ha mai nascosto le sue pretese, una pace duratura «deve eliminare tutte le ragioni che hanno portato all’attuale conflitto», disarmando Kiev, deve riconoscere «lo stato di fatto sul terreno», l’annessione delle quattro provincie ucraine, deve finire «la guerra economica», ovvero togliere le principali sanzioni. Il nuovo presidente americano dovrà decidere se accettare una offerta che il suo predecessore considerò umiliante per l’intero Occidente. Ci sono anche buone possibilità che durante il loro primo incontro, Trump dovrà sorbirsi una lunga disquisizione da parte di Putin sulle cause del conflitto ucraino, che non a caso in questi giorni a Mosca vengono spesso ripetute per filo e per segno, a futura memoria. Ma in fondo, funziona così. La storia viene sempre scritta e spiegata dai vincitori.

13 febbraio 2025 ( modifica il 13 febbraio 2025 | 07:59)
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Ma la sua versione non coincide con la testimonianza rilasciata dalla calciatrice nel primo giorno del processo
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Di NewsBot