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Ogni volta che leggo di una truffa agli anziani mi monta una rabbia che cresce con l’avanzare dell’età: la mia, oltre che quella delle vittime. L’ultima è Gemma Bracco, poetessa. Che ci vuole a fregare una poetessa di ottant’anni? Pochissimo coraggio e foreste di peli sullo stomaco. Prima il solito trucco telefonico del (finto) avvocato e del (finto) maresciallo che la avvertono del (finto) incidente capitato alla figlia, a cui servono subito 6500 euro (veri) per pagarsi l’ospedale. Poi l’addetto al prelievo che entra in casa, si guarda intorno e intuisce che è possibile spremere di più: c’è l’argenteria, e anche dell’oro in cassaforte. Quando Gemma Bracco si rende finalmente conto del raggiro, l’uomo passa alle minacce: «Ti spezzo in due», come se davanti avesse Rocky, anziché una donna sola che ha più del doppio dei suoi anni.
Gli anziani non hanno difese immunitarie contro il male. Hanno paura di tutto, eppure si fidano di tutti, sempre per paura: di non aver capito, di non essere all’altezza della situazione. E anche dopo l’inganno si sentono in colpa, umiliati, inadeguati, violentati nell’anima, improvvisamente vecchi. Per chi li riduce in questo stato le pene ci sono già, ma forse manca un autentico discredito sociale. La stessa parola «truffatore» evoca Totò e Peppino, uno scenario di poveri cristi in lotta per la sopravvivenza. Meglio «individuo di poco conto, spregevole e fannullone, sleale e senza scrupoli»: la definizione che il vocabolario offre alla voce «farabutto».



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19 febbraio 2025
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Di NewsBot