Chi segue la Serie A di calcio o guarda saltuariamente qualche partita potrebbe aver notato che a volte, dopo che viene segnato un gol, l’arbitro prende il pallone e lo consegna a un addetto a bordo campo, il quale a sua volta lo infila dentro un sacco di stoffa con la scritta “Socios”. In quel momento appare sullo schermo un QR code attraverso cui le persone possono collegarsi al sito della piattaforma Socios e provare a comprare all’asta il pallone di quel gol, certificato attraverso un sistema di blockchain (quella certificazione è il servizio offerto da Socios: qui è spiegato come funziona). È sempre un momento alquanto strano quando la regia indugia su queste persone che, in modo un po’ goffo e cerimoniale, mettono il pallone nel sacco.
Quello con cui Romelu Lukaku ha segnato il gol della vittoria nel recente Napoli-Juventus per esempio è stato venduto a 1.315 euro, mentre un acquirente dagli Stati Uniti ha ritenuto di spendere 303 euro per portarsi a casa quello dell’autogol di Marin Pongracic in Inter-Fiorentina. L’iniziativa nasce da una partnership tra Socios e la Lega Serie A ed è solo uno dei tanti modi in cui la Lega vende cose, reali o virtuali, per guadagnare soldi, come quando alla fine delle partite i telespettatori possono votare il migliore in campo attraverso un QR code sponsorizzato da Panini, la casa editrice nota per l’album di figurine dei calciatori (che durante la stagione inoltre fa uscire figurine speciali legate ad alcuni momenti del campionato).
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Il modo forse più evidente è avere uno sponsor che dia il nome al campionato di Serie A, il cosiddetto title-sponsor: fino alla scorsa stagione era TIM, mentre ora c’è la Serie A Enilive, grazie a un accordo da 22 milioni all’anno fino al 2027. La Lega Serie A comunque non è l’unica a cercare occasioni commerciali e di guadagno nel calcio. I club lo fanno con decine di sistemi diversi, alcuni piuttosto canonici come la vendita di magliette, gadget o posti privilegiati allo stadio, altri invece legati a esperienze come un incontro con i calciatori. E poi ci sono gli sponsor dello stadio, sui led luminosi a bordo campo, sulle maniche delle magliette, ma anche la vendita di posti e zolle (!) di campo virtuali.
Siete ancora in tempo per aggiudicarvi il pallone dell’autogol di Adam Marusic in Lazio-Napoli 2-2 (Socios)
Oggi i club, soprattutto quelli più seguiti e prestigiosi, cercano di commercializzare più cose possibili, di rendere cioè una potenziale fonte di guadagno tutto ciò che sta intorno alla squadra e alle partite. È una tendenza in genere criticata dai tifosi, che contestano la perdita di un’ideale autenticità e di interesse delle società sportive verso ciò che succede in campo; è però anche una pratica piuttosto utile per rimanere competitivi – economicamente e di rimando a livello sportivo – in un business come il calcio, sempre più imponente e costoso (ma anche redditizio, in certi casi). A volte diventa necessaria ed esasperata, come nel caso del Barcellona, che negli ultimi anni per continuare a spendere e rimanere competitivo senza fallire si è in qualche modo ipotecato il futuro vendendo le cose più disparate, dai diritti televisivi per i prossimi 25 anni ai palchi vip per i prossimi 20.
Oggi quasi tutti gli stadi di proprietà (in Italia sono ancora pochi, a differenza del resto d’Europa) hanno un title-sponsor: lo Spotify Camp Nou di Barcellona, l’Allianz Stadium di Torino e l’Allianz Arena di Monaco di Baviera, il Bluenergy Stadium di Udine, in precedenza Dacia Arena. Anche alcuni stadi concessi ai club dai comuni sono stati brandizzati, come l’U-Power Stadium di Monza e la Computer Gross Arena di Empoli. Prima che venisse inaugurato nell’estate del 2011, molti tifosi della Juventus hanno partecipato all’iniziativa “accendi una stella” che consentiva loro, pagando tra i 250 e i 350 euro, di far attaccare sulle pareti dello stadio una stella con il proprio nome. Ma è soprattutto ciò che succede dentro a questi stadi a essere una fonte di guadagno per le squadre.
I cartelloni pubblicitari a bordo campo esistono da oltre un secolo, e una trentina di anni fa il Real Madrid fu la prima squadra a sostituirli con i LED, che davano l’opportunità di cambiare gli sponsor visibili durante la partita dalle tribune e da casa. Dal 2021 sui LED degli stadi di Serie A si riescono a mostrare pubblicità diverse a seconda dell’area geografica, grazie a una tecnologia basata sul tracciamento delle immagini e sull’utilizzo di una “maschera” da applicare a ciò che viene trasmesso in diretta.
In pratica mentre chi guarda la partita in Italia vede passare sui LED pubblicitari il nome di un brand, in Medio Oriente può essere che ce ne sia un altro, e in Sudamerica un altro ancora, sulla base dei diversi accordi che i club hanno stretto con i vari marchi in giro per il mondo. Questa cosa vale anche per altre pubblicità virtuali che compaiono sui campi, come quella nel cerchio di centrocampo o nella zona dietro le porte, e permette alle squadre di differenziare l’offerta commerciale. Anche i maxischermi degli stadi proiettano pubblicità, pagate dagli sponsor, prima della partita e durante l’intervallo.
Chissà se anche in Giappone il Genoa sponsorizza l’acqua Fiuggi (Simone Arveda/Getty Images)
Fino alla fine degli anni Settanta le squadre di Serie A non potevano esporre sulle loro magliette nessuno sponsor: solo dalla stagione 1981-1982 sono stati liberalizzati gli sponsor di maglia, dopo che già da qualche anno alcune squadre erano riuscite a inserire gli sponsor “tecnici”, cioè del brand che produceva le magliette. Dal 2018-2019 le magliette delle squadre di Serie A possono avere fino a quattro sponsor: quello principale stampato all’altezza del petto; lo sponsor tecnico che si trova in alto a destra, più in piccolo; quello sul retro, in basso sotto il numero di maglia, e quello sulla manica, l’ultimo inserito in ordine di tempo.
In questa stagione MSC Crociere è contemporaneamente lo sponsor principale del Napoli, il back-sponsor (sul retro della maglia) del Genoa e lo sleeve-sponsor (sponsor di manica) del Milan. Secondo lo Sporteconomy jersey sponsor index 2024/25, il Milan è la squadra che guadagna più soldi in Serie A con ciò che espone sulle proprie maglie, grazie soprattutto ai 30 milioni annui della compagnia aerea Emirates (MSC gliene dà altri 5,5 per comparire sulla manica). L’Inter per questa e le prossime tre stagioni ha come sponsor principale la società svedese Betsson Sport, che come molte altre è riuscita ad aggirare il divieto di pubblicità da parte di agenzie di scommesse, in sostanza creando una pagine di notizie e giochi sportivi svincolata dal sito di scommesse ma con un nome simile e un evidente rimando a esso.
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In generale gli sponsor, non solo quelli che compaiono sulle maglie, sono la principale fonte di guadagni del club sul lato commerciale (le altre grosse voci di guadagno sono innanzitutto i diritti televisivi e poi il merchandising, la vendita dei biglietti e il calciomercato). In cambio di una sponsorizzazione i club offrono ad aziende e brand vari servizi, a cominciare dai biglietti per le partite. Più uno sponsor paga, e più i posti e le esperienze diventano esclusive; tutto rientra nell’ambito della cosiddetta hospitality (per parlare di queste cose si usano molte parole inglesi).
Gli stadi italiani, soprattutto quelli delle squadre più ricche, hanno varie zone dello stadio riservate all’hospitality: le principali sono gli sky box, che il sito della Juventus definisce «salottini unici ed esclusivi progettati per coloro che vogliono vivere l’evento con il massimo della comodità e della riservatezza» (dire evento invece di partita è una di quelle cose che ai tifosi duri e puri non piace), mentre quello del Milan parla di «una elegante suite con comode sedute adiacenti all’insegna della privacy e dell’esclusività». Si chiamano sky box perché solitamente sono posizionati abbastanza in alto nello stadio, e consentono di avere una visione complessiva del campo.
I club in sostanza mettono a disposizione degli sponsor questi salottini che affacciano sul campo e di solito hanno una parte esterna con una decina di posti a sedere per vedere la partita e poi una saletta interna nella quale si pranza o si cena e si possono fare anche riunioni. Gli sponsor li utilizzano a loro volta per portarci i clienti e fare bella figura, per parlare di affari o semplicemente come benefit aziendale. All’Allianz Stadium della Juventus sono utilizzabili sette giorni su sette, quindi non solo quando ci sono le partite, per consentire di utilizzarli come delle sale riunioni. La Fiorentina consente addirittura di usare tutto il nuovo centro sportivo, il Viola Park, come luogo di ritrovo per aziende e incubatore di start-up (il V-Lab), le quali per ora fanno da sponsor alla squadra femminile e alle giovanili.
Solitamente gli sky box, e anche gli altri posti esclusivi (a San Siro per esempio, il più grande stadio italiano, ce ne sono in vari punti, anche a bordo campo vicino alle panchine), sono riservati agli sponsor su base stagionale, oppure il club se li tiene per invitare vari tipi di ospiti VIP; quasi mai sono acquistabili da tifosi privati. Assieme agli sky box, i club possono offrire ai loro sponsor (dipende da quanto pagano) anche varie cose per rendere ancora più eccezionale la giornata allo stadio, quelle che a volte si sentono definire come money-can’t-buy experience, cioè esperienze impagabili.
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Le più diffuse consistono nella possibilità di avvicinarsi in vari modi al campo e ai calciatori, assistendo al riscaldamento da bordo campo, visitando gli spogliatoi, incontrando i calciatori prima o dopo la partita, nel cosiddetto meet and greet (“incontra e saluta”). I calciatori sono tenuti da obblighi contrattuali a prestarsi a queste cose, che chiaramente riescono meglio quando la squadra ha vinto o sta vivendo un bel periodo. L’esperienza forse più esclusiva permette a un piccolo gruppo di persone di viaggiare con la squadra in aereo durante una trasferta; alcune squadre consentono inoltre agli sponsor principali di organizzare una partitella dentro il loro stadio, alla fine della stagione.
Le varie aree hospitality del Milan, nello stadio San Siro (AC Milan)
Soprattutto da quando varie squadre italiane sono state acquistate da proprietari statunitensi (oggi un terzo di quelle di Serie A), prima delle partite e durante l’intervallo hanno cominciato a essere organizzati momenti di intrattenimento tipici degli sport americani, che sono un’altra occasione di commercializzazione. I giochi di luci laser con lo stadio al buio che precedono la lettura delle formazioni sono piuttosto comuni, e possono essere fatti in partnership con un brand, che proietta il proprio nome sul campo o sui maxischermi. Sono comparse le prime kiss-cam copiate dallo sport statunitense (anche queste fatte in collaborazione con gli sponsor), cioè la proiezione sul maxischermo di due persone prese tra il pubblico da cui, in teoria, ci si aspetta che si diano un bacio; sono ormai un’abitudine i dj-set, le esibizioni di cantanti e i lanci di magliette al pubblico.
Non si vendono solo pezzi di stadio reali, comunque. Da un paio di anni il Milan, attraverso una piattaforma chiamata Fanblock, consente ai tifosi di acquistare una o più zolle di campo virtuali e di giocare una specie di partita alternativa nella quale quando succede qualcosa dentro una delle porzioni di campo (reali) acquistate, come un assist o un gol, chi possiede quelle zolle totalizza punti. Con i punti accumulati col passare del campionato si possono vincere premi come magliette, palloni o biglietti per le partite.
La realtà virtuale e il metaverso sono ancora poco utilizzati nel calcio, in particolare in Serie A. La Premier League (il campionato inglese) di recente ha firmato un accordo di quattro anni con Rezzil, un’azienda che lavora sulla realtà virtuale, con l’obiettivo di consentire ai tifosi di vedere le partite come fossero allo stadio o addirittura dalla prospettiva dei calciatori (una cosa che potrà essere utile anche ad allenatori e squadre). Poco prima il Manchester City aveva annunciato una partnership con Sony per ricreare l’Etihad Stadium nel metaverso. L’idea è in sostanza quella di consentire a chi non può andare allo stadio di avere un’esperienza il più possibile simile a quella reale.
La Premier League è il campionato di calcio nettamente più ricco al mondo, i cui diritti televisivi vengono venduti al quadruplo rispetto a quelli della Serie A. È anche quello in cui alcune squadre, sempre perché tutto o quasi è in vendita, fanno pagare le famiglie che vogliono mandare i loro bambini ad accompagnare i calciatori in campo (almeno quello in Serie A non si fa: quasi tutti i club procedono a sorteggio o attraverso le scuole calcio). Si possono spendere anche più di 700 euro, nei quali però sono inclusi quasi sempre i biglietti in posti eccellenti per i genitori o gli accompagnatori.










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